Il papà di Lost, giunto al suo terzo film, rende omaggio al cinema spielberghiano con una raffinata devozione cinefila capace di spingersi ben oltre la semplice “operazione nostalgia”. Se è vero infatti che Super 8 ricalca quei topoi cari all’estetica filmica del giovane Spielberg (la provincia americana, le inquietudini della pre-adolescenza, lo scontro con i genitori, etc.), JJ. Abrams ha il merito di mantenere inalterato il suo marchio di fabbrica: fotografia ricca di controluce, la progressiva rivelazione del mistero, il gusto per l’action fragorosa e la calcolata gestione dell’elemento orrorifico.
Nell’epoca del remake mainstream Abrams vince senza esitazione la sua sfida: rievocare una precisa stagione del cinema anni ‘80 – innumerevoli sin dai primi minuti di proiezione i riferimenti a pellicole come E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo, Goonies, Stand by me – dando vita ad una storia avvincente, perennemente in bilico tra fantascienza e thriller.
TRAMA Ohio, estate del 1979. Un gruppo di ragazzini decide di girare un cortometraggio in super 8 da presentare ad un festival provinciale. Un film di zombie, con dialoghi da noir anni ’40 ed effetti speciali a base di sangue finto e miccette. Una notte, il gruppo si riunisce di nascosto nei pressi della stazione cittadina per filmare alcune scene. Tutto sembra andare per il meglio quando all’improvviso un pick up invade i binari facendo deragliare un treno (senza dubbio l’incidente ferroviario più spettacolare mai visto sul grande schermo!). La mattina seguente, l’esercito mette l’area in sicurezza senza dare spiegazioni alla polizia locale. Una misteriosa creatura è fuggita dal treno dopo il terribile schianto e decine di persone iniziano a sparire nel giro di poche ore. Starà ai giovani protagonisti risolvere l’enigma…
FANTASCIENZA E SENTIMENTO Come in E.T., la pellicola di Abrams concede ampio spazio alla tematica del conflitto genitori-figli, mettendo in risalto tutte le debolezze della preadolescenza: la scoperta dell’amore, il bisogno di evadere e il desiderio di ribellarsi al mondo degli adulti. Rispetto all’immaginario spielberghiano manca però quell’atmosfera di speranza e dolcezza nel dipingere l’incontro con l’alieno, il “diverso” catapultato in una realtà che non gli appartiene. L’extraterrestre di Super 8 è infatti un mostro che uccide e devasta ogni cosa pur di riconquistare la sua libertà.
In questo la creatura di Abrams assume idealmente le sembianze di un golem, di un personaggio apocalittico in cerca di vendetta. Solo la sensibilità dei protagonisti, così giovani da non esser corrotti dall’egoismo della società adulta, può diventare lo strumento per porre fine ad una guerra sanguinaria.
PUNTI DI FORZA Oltre ad una sceneggiatura ben articolata, Super 8 si avvale di un cast azzeccatissimo dove spiccano la strabiliante Elle Fanning, nei panni della bella del gruppo, e il romantico protagonista interpretato da Joel Courtney. Gli effetti speciali monstre, la minuziosa regia di Abrams e la splendida colonna sonora – impossibile non battere il piede sull’immortale My Sharona dei The Knack – fanno il resto.
Da seguire con attenzione il finale decisamente autobiografico che parte dopo i titoli di coda. Le scene che mostrano la pellicola realizzata dai protagonisti si riferiscono infatti ad un episodio chiave della carriera del creatore di Lost. A soli 15 anni, dopo aver trionfato ad un concorso di film in super 8, Abrams si vide infatti affidare da Spielberg – oggi produttore della sua opera – l’onere di restaurare i filmini a passo ridotto girati da ragazzo. Un evidente passaggio di testimone ma soprattutto un film che sa emozionare davvero. Spettacolare, commovente, pirotecnico. Da non perdere.