«È un errore fare un film su un personaggio che sta scontando 260 anni di carcere per rapine, sequestri e omicidi: dovrebbe pagare i suoi debiti circondato dal silenzio, invece viene messo sotto i riflettori». La pensa così Gabriella Vitali D’Andrea, la vedova di Luigi, uno dei due agenti della Polizia stradale uccisi il 6 febbraio 1977 dalla banda di Renato Vallanzasca a colpi di pistola durante un inseguimento vicino al casello autostradale di Dalmine, in provincia di Bergamo. Il film in questione è “Il fiore del male”, che Michele Placido sta girando sulla vita del bandito che fu soprannominato il bel René.
E così si riapre l’eterno conflitto fra le ragioni della creatività artistica e della finzione da una parte e quelle dei sentimenti e della vita reale dall’altra. Nel 2001 fu la volta della “Uno bianca”. All’epoca Anna Maria Stefanini, madre del ventiduenne carabiniere ucciso assieme ad altri due colleghi il 4 gennaio 1991 a Bologna nell’agguato teso dai fratelli Savi, fu durissima contro la fiction tv sulla tragica epopea dei poliziotti assassini che terrorizzarono l’Emilia fra il 1987 e il 1984. «È una ricostruzione dolce – protestò -, avrei preferito minore ambiguità sulle coperture di cui godettero a Bologna quei criminali. I nomi dei colpevoli sono stati sostituiti con altri di fantasia. Si preferisce difendere i figli degli assassini piuttosto che le vittime».
Alla fine del 2007 l’Anpi si scagliò preventivamente contro la fiction “Il sangue dei vinti” in quanto mostrava i buoni nella parte dei cattivi e viceversa. E un anno fa il magistrato milanese Armando Spataro disse «fanno bene a protestare i parenti delle vittime» quando si seppe che al film di Renato De Maria “La Prima Linea”, tratto dall’autobiografia del pluriomicida Sergio Segio, sarebbe andato un milione e mezzo di euro di finanziamento pubblico. I produttori, poi, rinunciarono al contributo dello Stato.
E ora Gabriella Vitali parla al quotidiano L’Eco di Bergamo per dire la sua sul film dedicato a Vallanzasca, che sarà interpretato da Kim Rossi Stuart, lo stesso bravo attore protagonista della fiction sulla “Uno bianca”, nella quale però era il personaggio positivo. A parte la sofferenza dei familiari per il dolore che si rinnova, ha spiegato la vedova D’Andrea, «si lancia un messaggio sbagliato alle nuove generazioni e si dà l’impressione che chi compie crimini orrendi alla fine non paghi fino in fondo».
