DUBLINO – Battesimo come barriera per l’accesso alle scuole primarie: l’Irlanda che cambia negli ultimi anni ha voltato la faccia a Santa Romana Chiesa su divorzio, aborto, matrimonio gay ma non è riuscita ad affrancarsi dalla presa della religione cattolica sull’educazione dei giovani. Il 97% delle scuole statali sono pubbliche ma continuano a rimanere sotto il controllo della Chiesa: la Costituzione fornisce l’appiglio legale per cui il fattore religioso è ancora determinante tra i requisiti per ottenere l’iscrizione.
Il reportage di Douglas Dalby del New York Times fa il punto su questo ritardo inimmaginabile nell’Europa multiculturale di cui pure fa parte. Un problema che specie a Dublino (negli ultimi 15 anni è cresciuta di 400mila abitanti) è di ordine pratico per migliaia di famiglie: a metà anni ’70, la popolazione cattolica che si definiva osservante era attestata oltre il 90%, oggi non supera il 14%. Eppure “the baptism barrier”, l’ostacolo del battesimo resta ugualmente insormontabile quando si tratta di iscrivere i figli a scuola. Vale per i musulmani, gli induisti e per i semplicemente agnostici.
Reuben, iI figlio di Nikki Murphy, 4 anni, s’è visto respingere la richiesta di iscrizione da 9 scuole del sud di Dublino perché non era battezzato l’anno scorso. Costretta a ritardare l’iscrizione di un altro anno Nikki sta freneticamente cercando alternative percorribili prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Ma la signora, 36 anni che si descrive come non religiosa, dichiara che non battezzerà suo figlio solo per ottenerne l’iscrizione.
“Conosco parecchie persone che hanno deciso così, ma mio marito Clem e io non ci sentiamo di farlo. Sono molto ma molto arrabbiata, praticamente non ho possibilità di scelta. Onestamente non so il prossimo anno dove Reuben andrà a scuola”. (Douglas Dalby, New York Times).
Ancora oggi almeno mezz’ora al giorno delle lezioni è destinata all’insegnamento religioso, esclusivamente cattolico, s’intende. La battaglia per la legalità è appena cominciata: da ricordare l’imbarazzo del ministro dell’Istruzione James Reilly quando ha dovuto giustificare davanti a un Comitato Onu per i diritti dell’infanzia il proseguimento degli accessi preferenziali a scuola sulla base del requisito religioso. Va cambiata la Costituzione, dice il ministro, serve un referendum, ma farlo è un “problema”, ammette.