GIRONA – La morte di Stefano Bertona, imprenditore ligure, e della sua giovane fidanzata russa Leyla Sultangarewa potrebbe non essere un incidente. La polizia spagnola della Costa Brava indaga sulla morte dei due, trovati privi di vita a bordo dello yacht di Stefano Bertona ormeggiato nel porto di Roses. Secondo una prima ricostruzione, la coppia sarebbe morta per avvelenamento da monossido di carbonio, ma a bordo sono stati trovati droga e alcol e la sera della morte un mini party sarebbe stato organizzato, ma degli ospiti saliti con loro non si hanno notizie.
Andrea Acquarone e Roberto Pellegrino sul quotidiano Il Giornale scrivono che le autorità spagnole stanno cercando di ricostruire la sera di sabato 4 giugno prima della loro morte. Stefano Bertona e la giovane fidanzata russa, partita con lui mentre la sua famiglia si trovava a Torino, sono stati visti per l’ultima volta a cena sulla terraferma, per poi tornare sullo yacht dove sarebbe stata organizzata una festa a bordo a base di alcol e cocaina. L’ipotesi di un incidente però non convince gli investigatori. I motori dello yacht ormeggiato dovevano essere spenti in porto e non sembra possibile che la morte sia avvenuta per avvelenamento da monossido di carbonio:
“Risulta perlomeno singolare l’ipotesi avanzata da medici e polizia locale che ad uccidere la coppia sia stato monossido di carbonio fuoriuscito dai motori del natante. In porto i motori devono rimanere spenti e non c’ è alcun bisogno di accenderli. A meno che non lo abbia fatto qualcun altro, sabotando gli scarichi, magari dopo aver addormentato i due. Naturalmente solo un’ ipotesi. Ma che nessuno sembra voler prendere in considerazione. Come sembra azzardato pensare a un un’overdose «contemporanea». A meno che la droga non fosse «avvelenata».
I Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, avvertono che per gli esiti dell’ esame tossicologico ci vorrà tempo, ma Giorgio Bertona, fratello di Stefano, anche lui manager esperto che costruisce navi, non ci sta: «Impossibile morire di asfissia in un ambiente che è semiaperto con gli oblò spalancati e, soprattutto, i motori fermi, una regola di ogni porto».
E allora si indaga nei meandri delle esistenze parallele delle vittime. Il manager aveva conosciuto Leila Sultangarewa nel 2013. La ragazza lavorava in night della zona di Novara. Gliela aveva presentata un amico, a lui serviva una ragazza, bella e disinvolta, che lo aiutasse nel tessere rapporti commerciali coi nuovi ricchi dell’Est. Insomma lavoro, ma quasi contemporaneamente anche sesso. Gli affari però stavano già soffrendo la crisi. Leila appariva un peso in più, dopo qualche mese se n’ era andata, faceva la consulente esterna. Tornando ad esercitare probabilmente il suo «vecchio» mestiere. Senza però dimenticare Stefano, per lui faceva la hostess, teneva i contati giusti, di certo faceva ancora l’ amante.
Insomma una doppia vita. Come quella dell’ imprenditore: una minima presenza coniugale, con la preoccupazione di non far saper nulla e trovare soldi sempre più da sudare in un’ azienda in serie difficoltà e la voglia di costose trasgressioni. In «fabbrica» non era quasi mai presente, non si sapeva dove alloggiasse a Genova. Frequentava anche altre ragazze, aveva il debole per le russe. Storie passeggere, alla fine c’ era sempre lei, Leila con la sua esistenza tormentata. E forse anche pericolosa, come i suoi vecchi e nuovi «amici» connazionali. C’ erano già stati dei problemi, delle minacce, forse degli affari sporchi. Ma per ora, queste, sono solo suggestioni”.
(Foto da Facebook)