ROMA – Il killer degli olivi che sta decimando le coltivazioni secolari del Salento e riducendo la produzione d’olio d’oliva è un piccolo insetto che diffonde un batterio virale. Si tratta della “cicala sputacchina” (aphrophoridae della famiglia delle cercopoidee), abitata dal batterio “Xylella fastidiosa”.
Quasi un eufemismo che non deve ingannare: quando la Xylella contagia (vivono in una massa schiumosa simile a saliva umana) prima le foglie dei rami più alti, il destino dell’ulivo è segnato. Qui nidifica la cicala che fa da incubatore per altri contagi se non si interviene tempestivamente tagliando i rami o, più tardi, disseccando la pianta.
“L’epidemia sta galoppando, il contagio cammina a una velocità spaventosa. Per capirci: nel giro di due-tre settimane ai vecchi Comuni sotto attacco se ne sono aggiunti una decina di nuovi”, ha dichiarato il capo della Forestale Giuseppe Silletti a Giusi Fasano del Corriere della Sera.
Capire l’origine del contagio, come abbia fatto il pericoloso batterio ad arrivare in Salento è diventato un rebus degno di un romanzo giallo. Fra i sospettati (la procura di Legge indaga) c’è l’Istituto agronomico mediterraneo (Iam) di Valenzano, in provincia di Bari: nel 2010, durante un simposio scientifico, pare abbia autorizzato l’ingresso per motivi di studio di un campione di Xylella. Per legge, però, luoghi e attività del centro sono off-limits per le autorità.
La pista più probabile segue un itinerario diverso: l’acquisto da parte della città di Gallipoli di piante ornamentali olandesi. Cioè, olandesi solo di passaporto: in realtà quegli oleandri, ciliegi o mandorli hanno una denominazione di origine diversa, provengono dal Costarica.
Ma al di là della scoperta sulla provenienza e l’introduzione in Italia della Xylella fastidiosa, la procura punta anche a eventuali responsabilità colpose: ritardi fra i primi disseccamenti (nel 2011) e l’allarme. In sostanza, ciò che ha consentito all’epidemia di diventare «una piaga biblica», come la chiama Pantaleo Piccinno, presidente della Coldiretti leccese. (Giusi Fasano, Corriere della Sera)