ROMA – Non uno ma due coltelli affondarono la lama nel corpo di Daniele De Santis, “Gastone”, l’ultrà romanista che sparò e uccise Ciro Esposito, tifoso del Napoli in trasferta a Roma per la partita con la Fiorentina, finale di Coppa Italia, il 3 maggio 2014.
Le ferite venne inferte non solo dal coltello a serramanico, trovato a terra dagli investigatori sul luogo della rissa e acquisito al materiale dell’inchiesta giudiziaria, ma anche da un secondo coltello, mai trovato.
Daniele De Santis sparò per difendersi, sostengono i suoi avvocati, che ora portano a sostegno della loro versione, come scrivono Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani sul Messaggero di Roma, due referti medici di due fonti diverse, il reparto medico di Regina Coeli e la struttura protetta nel carcere di massima sicurezza di Belcolle, dove tuttora si trova Daniele De Santis:
“Nei documenti in possesso degli avvocati Michele D’Urso e Tommaso Politi si parla di quattro coltellate, due a un gluteo e due all’addome ma dal lato opposto, il che farebbe pensare che oltre al coltello a serramanico già repertato col sangue di De Santis, ce ne possa essere un secondo, mai trovato.Le ferite d’arma da taglio non compaiono nella perizia consegnata dal Racis al gip Giacomo Ebner: non erano riportate nel ricovero al Pronto soccorso”.
Nel referto di ricovero non è stata registrata inoltre
“la grossa e profonda cicatrice sulla fronte di Ciro Esposito […] che avrebbe la forma chiara del manico di una pistola”.
La cicatrice conferma, scrivono Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani,
“quanto sottolineato dai carabinieri: gli spari avvennero mentre De Santis lottava corpo a corpo”
con tre tifosi del Napoli: Ciro Esposito, che morirà 53 giorni dopo, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito, anch’essi raggiunti dai proiettili sparati da De Santis. In questa fase, Daniele De Santis“sarebbe stato colpito talmente violentemente da perdere molto sangue, prima di essere aggredito da una seconda ondata di tifosi azzurri – mai rintracciati – pochi metri più in là, all’interno del Ciak Village.“L’identificazione dei membri di questo secondo gruppo diventa decisiva per attribuire eventuali altre responsabilità penali oltre a quelle già contestate: l’omicidio a de Santis – la perizia spazza il campo da dubbi sul fatto che abbia sparato lui – e le lesioni e rissa per i tre napoletani. Va capito, insomma, chi e quando impugnò i coltelli e gli altri oggetti usati per pestare il romanista. Ma la Digos – titolare dell’indagine – lavora anche su un altro dettaglio, la ricostruzione della matricola abrasa della Benelli 7,65 che ha fatto fuoco. Un modello non così comune: parte della sigla potrebbe bastare per risalire al proprietario e alla «storia» dell’arma”.