
CATANZARO – Dopo l’archiviazione dell’inchiesta “Why not”, Luigi De Magistris deve registrare un’altra “sconfitta”: sarĂ infatti archiviata anche l’inchiesta “Poseidone”, su una presunta fuga di notizie che vedeva indagati, tra gli altri, l’ex procuratore generale di Catanzaro, Domenico Pudia, l’ex procuratore capo, Mariano Lombardi, scomparso di recente, l’ex sostituto procuratore generale, Pietro D’Amico, l’ex presidente dell’ufficio gip-gup, Antonio Baudi, il carabiniere Mario Russo in servizio alla Procura della Repubblica di Catanzaro.
A carico dei cinque la Procura di Salerno non ha rilevato alcuna responsabilitĂ penale, chiedendo l’archiviazione che è stata disposta dal gip.  Le indagini ruotavano sulla fuga di notizie, che avrebbe favorito un indagato, per una perquisizione che era stata disposta nell’ambito dell’indagine “Poseidone” condotta dall’ex pm Luigi De Magistris.
La vicenda è stata ricostruita da Gian Marco Chiocci e Luca Rocca sul Giornale: “Il fatto risale al 2005. De Magistris era sicuro, assolutamente certo, che l’ex sostituto procuratore generale, Pietro D’Amico, l’ex presidente dell’ufficio gip-gup, Antonio Baudi, l’ex procuratore generale di Catanzaro, Domenico Pudia, l’allora procuratore capo Mariano Lombardi (deceduto poche settimane fa) e infine l’appartenente all’Arma Mario Russo, avessero fatto trapelare la notizia sull’imminente perquisizione a carico di uno degli indagati”.
I due giornalisti hanno commentato sarcasticamente le convinzioni dell’ex magistrato, oggi europarlamentare dell’Idv: “C’era una montagna di prove, a detta di De Magistris. Non era vero niente, ha sentenziato il gip di Salerno, competente sulle cause relative ai magistrati di Catanzaro. Tant’è che il fascicolo su toghe corrotte e talpe in procura è stato cestinato causa «l’insussistenza della notizia di reato»”.
Anche in questo caso, hanno rincarato la dose Chiocci e Rocca, “il gip non ha usato mezzi termini nello stroncare le ipotesi accusatorie cavalcate da De Magistris, definendo insostenibile la «fattispecie associativa» che reggeva il «lacunoso» impianto accusatorio, «essendo del tutto carente la prova in ordine all’esistenza di un sodalizio avente le caratteristiche innanzi menzionate»”.
