Le bombe che nel 1992 uccisero in Sicilia i giudici Falcone e Borsellino e quelle fatte scoppiare a Roma, Firenze Milano nel 1993-94, il ruolo oscuro dei servizi segreti, i depistaggi, gli eventuali collegamenti con la ”trattativa” tra Stato e mafia: è attorno a questi temi che si snodano le novità delle inchieste condotte della magistratura siciliana e da quella toscana.
I pubblici ministeri di Caltanissetta hanno riaperto le indagini sulle stragi del 1992 di Capaci e via D’Amelio. Un altro filone investigativo conduce all’Addaura, teatro nel giugno 1989 del primo fallito attentato a Giovanni Falcone. Anche in questo caso i riflettori stanno illuminando una spaccatura all’interno dei servizi: un gruppo avrebbe tramato per appoggiare il progetto di Cosa nostra di uccidere il magistrato, un altro sarebbe intervenuto per fermare i sicari.
Ma è sul caso Borsellino che stanno emergendo le novità più rilevanti, tanto che i magistrati hanno annunciato di essere arrivati vicino a verità clamorose. In alcune dichiarazioni è stata avanzata perfino l’ipotesi che le stragi siano state concepite per accelerare il crollo del sistema politico.
Sugli scenari dell’eccidio di via D’Amelio si sarebbero mossi 007 e pezzi deviati delle istituzioni, mentre l’impianto dei tre processi, conclusi con undici condanne definitive all’ergastolo, sarebbe stato inquinato da quello che il procuratore Sergio Lari ha definito un ”colossale depistaggio”. Gli uomini guidati dal vice questore Arnaldo La Barbera, morto qualche anno fa, avrebbero proposto una ricostruzione basata sulla falsa confessione del pentito Vincenzo Scarantino, smentita e rovesciata ora da Gaspare Spatuzza. Il nuovo indirizzo investigativo ipotizza che la versione di Scarantino sia stata ”ispirata” da investigatori infedeli (così li ha definiti Lari) e attribuisce invece piena attendibilità a Spatuzza.
Anche le indagini sulla strage Falcone, che hanno già provocato 24 condanne all’ergastolo, sono state riaperte per sviluppare tra l’altro il filone dei mandanti dal ”volto coperto”. Da tempo sono state archiviate le posizioni di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri quali ”referenti” politici di Cosa nostra sui quali, ha ribadito oggi il procuratore Lari, le indagini non sono state più riaperte.
Si indaga invece con molta attenzione sul ruolo di apparati deviati dello Stato di cui ha parlato Spatuzza e di ”talpe” istituzionali. Nel maggio scorso c’è stata una svolta con cinque nuovi indagati dalla Procura di Caltanissetta: Gaetano Scotto, condannato anche per la strage di via D’Amelio, il boss Salvino Madonia, Raffaele Galatolo e il nipote Angelo, il collaboratore di giustizia Angelo Fontana. Un sesto personaggio, Pino Galatolo fratello di Raffaele, è deceduto. Sarebbe stato lui a procurare il telecomando dell’esplosivo piazzato sulla scogliera dell’Addaura. Decisivo sarebbero stati gli uomini dei servizi sia tra gli organizzatori dell’attentato sia tra quelli che lo sventarono appena in tempo.
Un nuovo processo per gli attentati del 1993-1994 a Roma, Milano e Firenze e uno dei risultati dell’inchiesta fiorentina sulle stragi mafiose in continente, che ha individuato un altro presunto responsabile, Francesco Tagliavia, già all’ergastolo per l’omicidio di Paolo Borsellino. Il 17 marzo, giorno dell’ordinanza per Tagliavia, il procuratore capo a Firenze, Giuseppe Quattrocchi, spiegò che l’inchiesta sarebbe andata avanti. I magistrati fiorentini sono arrivati a Tagliavia grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Il processo a Tagliavia, accusato di aver messo a disposizione i suoi uomini per l’esecuzione delle stragi, si aprirà il 9 novembre a Firenze. Spatuzza è il pentito che ai pm toscani e siciliani raccontò, tra l’altro, che il boss Giuseppe Graviano gli avrebbe indicato, come referenti, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.