Gli stessi strumenti sanitari pagati il doppio in alcuni ospedali, la metà in altri. Sono le conseguenze di una pessima gestione amministrativa, della degenerazione del federalismo sanitario, oppure episodi di corruzione e tangenti?
Per rispondere a questa domanda la Commissione parlamentare sugli errori sanitari e sui disavanzi regionali presieduta da Leoluca Orlando aprirà un’inchiesta.
Intanto a cercare di capire come stanno le cose è andato Alberto Custodero per Repubblica.
Il mercato dei dispositivi sanitari nelle varie Asl italiane fattura ogni anno sette miliardi di euro, senza contare la farmaceutica. In questo mare magnum gli sprechi sono tantissimi, con variazioni notevoli nei prezzi dello stesso modello di protesi sanitaria a seconda dell’Azienda sanitaria che la acquista.
Uno spreco enorme di denaro pubblico. Qualche esempio: una valvola aortica cardiaca percutanea costa 19mila euro al Niguarda di Milano, 20mila alle Molinette di Torino, 21mila all’Estav-Sudest Toscana.
Lo stent medicato a rilascio di farmaco Xience V (un piccolo tubicino che serve a liberare le valvole cardiache) costa 594 euro a Terni, 1250 a Genova.
Cambia il prezzo anche della valvola meccanica mitralica: all’Estav-Sudest Toscano viene 2380 euro, all’ospedale di Alessandria 2500, al messinese Papardo Piemonte ben 3400 euro. Oscilla dai 1250 euro della Toscana ai 2324 dell’Emilia-Romagna il costo dei pacemaker.
Visti gli sprechi, il ministro della Salute Ferruccio Fazio, raggiunto da Repubblica, annuncia di voler togliere alle Aziende ospedaliere locali il potere di acquistare prodotti, e dice di non escludere che dietro a quelle variazioni di prezzi ci siano episodi di corruzione.
Andrea Messori, vicepresidente della Società italiana di farmacia ospedaliera (Sifo), lamenta l’assenza di un organo che controlli il mercato delle protesi sanitarie: “Ogni anno, dice a Repubblica, in ciascun ospedale si spendono in media 110 milioni di euro per l’acquisto di dispositivi medici soprattutto nell’ambito della cardiologia interventistica, contro 90 milioni di euro per i farmaci. Mentre per i farmaci c’è una governance, l’Aifa (agenzia italiana sui farmaci), un organo di controllo simile manca per i dispositivi. Col risultato che in questo settore il prezzo è libero con gare che si svolgono ospedale per ospedale, con un’eterogeneità di prezzi enorme che possono raddoppiare o triplicare da zona a zona dell’Italia”.
Un tentativo di difesa arriva da Giovanni Monchiero, presidente della Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie italiane: “Ci sono differenze di prezzi assolutamente inspiegabili e che ci stupiscono, ammette. Quando queste differenze di prezzo sono troppo rilevanti qualche dubbio che le procedure non si siano svolte correttamente diventa inevitabile. Nella migliore delle ipotesi si tratta di scarsa capacità contrattuale dietro le quali talvolta si possono nascondere debolezze dell’animo umano”.
Ma nella peggiore delle ipotesi si potrebbe ripetere quanto successe otto anni fa a Torino, quando la magistratura stroncò uno sterminato sistema di corruzione sulla fornitura di valvole cardiache in tutta l’Italia settentrionale.
Allora i protagonisti della corruzione erano fornitori e cardiochirurghi, che concordavano le tangenti alle spalle delle commissioni aggiudicatrici dell’appalto, facendo crescere il prezzo delle protesi di circa 600 euro.
Le spiegazioni questa volta possono essere altre. Quel che non cambia, è che a pagare le varie protesi sono sempre i soldi dei contribuenti.