MONZA – Un “fiume di denaro” per soddisfare le “esigenze elettorali” di Filippo Penati “e quelle dei Ds milanesi” con un presunto giro, scrive l’agenzia Ansa, di mazzette e finanziamenti illeciti per “milioni di euro” che sarebbero stati incassati in parte dall‘ex presidente della Provincia di Milano. E’ così che il pubblico ministero di Monza Franca Macchia ha descritto quel “vasto e diffuso sistema di tangenti” che è stato ribattezzato ‘sistema Sesto’, prima di chiedere quattro anni di reclusione per l’ormai ex uomo di punta prima dei Democratici di Sinistra e poi del Pd.
L’accusa più pesante dell’inchiesta che nell’estate 2011 travolse Penati, che fu anche capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, ossia quella di concussione per le presunte ‘stecche’ sulle concessioni edilizie per le aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, è stata dichiarata prescritta più di due anni fa, alle prime battute del processo.
Penati, che è stato anche sindaco della cittadina nota in passato come la ‘Stalingrado d’Italia’, aveva dichiarato che avrebbe rinunciato alla ‘tagliola’, ma poi quando avrebbe dovuto formalizzare la rinuncia in aula non si è presentato davanti ai giudici che hanno dichiarato prescritto il reato.
La difesa ha fatto ricorso in Cassazione contro la prescrizione, ma la Suprema Corte ha bocciato l’istanza. E così martedì 7 luglio il pm, al termine della requisitoria in un’aula bollente e priva di condizionatori (ai legali è stato permesso di non indossare le toghe), ha chiesto quattro anni per le due imputazioni rimaste: la corruzione per i capitoli ‘Codelfa-Serravalle’ e ‘Sitam’ (tre anni) e il finanziamento illecito ai partiti per il caso della fondazione ‘Fare Metropoli‘ (un anno).
“Sono stupito e amareggiato perché la richiesta della procura è preconfezionata oltre che esagerata”, ha commentato Penati, aggiungendo che non si sarebbe “mai aspettato tanta ostinazione” e facendo presente che dalle indagini e dal dibattimento “non è emersa alcuna prova a mio carico”.
Il pm ha chiesto altre otto condanne, tra cui quelle a due anni e sei mesi per l‘architetto Renato Sarno, presunto collettore delle mazzette, e per Bruno Binasco, imputato in qualità di manager della società Codelfa del gruppo Gavio. Di due anni, poi, la richiesta per Antonino Princiotta, ex segretario generale di Palazzo Isimbardi, mentre per Giordano Vimercati, ex braccio destro di Penati, è arrivata a sorpresa la richiesta di assoluzione.
Per il pm, poi, le parole messe a verbale dall’imprenditore del settore trasporti Piero Di Caterina (chiesti due anni per lui), da cui è partita l’indagine, sono “credibili”. Ha detto il vero, secondo la Procura, il grande accusatore dell’ex presidente della Provincia quando ha parlato di versamenti “sin dai primi anni Novanta e fino al 2001” e di un “credito” nei confronti di Penati di circa “3,5 milioni” di euro.
Riscontri ci sarebbero, secondo l’accusa, anche sui verbali dell’altro imprenditore-accusatore, Giuseppe Pasini (chiesti un anno e sei mesi), il quale disse, tra le altre cose, che “Penati aveva chiesto 20 miliardi di lire per l’affare area Falck, anche se non per sé ma per il partito”.
A ritrattare le accuse nei confronti dell’ex politico Pd ci ha pensato, lo scorso gennaio, l’architetto Sarno, definito, però, dal pm un “faccendiere” per conto di Penati. Sarebbe stato lui, come risulterebbe da un file sequestrato, il gestore “della contabilità occulta”. Il professionista avrebbe mosso circa 5,3 milioni di euro tra la Svizzera, Londra e “strutture off shore”. Se Penati, ha spiegato il pm, “ha soldi all’estero noi non lo sappiamo, non sappiamo se li ha dati tutti ai Ds ma sappiamo che Sarno è l’uomo dell’operatività finanziaria di Penati”.
E mentre l’ex politico prevede che sarà “assolto come è già successo davanti alla Corte dei Conti” per la vicenda della compravendita delle azioni dell’autostrada Milano-Serravalle, il pm sottolinea la “voracità” con cui avrebbe gestito le società pubbliche. La sentenza, dopo le arringhe delle difese, è prevista per il 10 novembre.