ROMA – Isis. Il mistero sulla sorte del califfo Al Baghdadi: morto, ferito, senza eredi. Di certo, confermato a più livelli (media, governi, intelligence), c’è solo che un convoglio di una decina di auto nei dintorni di Mosul in Iraq è stato individuato e bombardato tramite droni. Un colpo decisivo inferto all’Esercito del Califfato, la decapitazione probabile del gruppo dirigente più in vista: ma che il capo, il Califfo nero Abu Bakr Al Baghdadi, sia stato ucciso non è provato. Il Pentagono conferma l’attacco ma spiega che non era il Califfo l’obiettivo. Ma che i leader jihadisti siano stati decimati lo assicurano fonti governative irachene.
Fra questi vi sarebbero vari capi regionali radunati in un quartier generale dell’Is: il mufti e il responsabile della sicurezza della città frontaliera di Qaim, oltre ad alcuni funzionari di città irachene e siriane cadute sotto il controllo del “califfato”. Stando al governo iracheno, sarebbero stati uccisi anche il braccio destro di Al Baghdadi, Abu Muslim Turkmen, e uno dei suoi più stretti collaboratori, Auf Abdulrahman al Afri, più noto come Abu Saha.
A Fallujah un altro raid avrebbe abbattuto Abu Huthaifa Al Yamani, altro braccio forte del “califfo”. Tuttavia, più d’una fonte irachena insiste nell’affermare ora la morte ora il ferimento dello sceicco dell’Is: stando a Sabah Karhout, capoconsiglio della provincia sunnita di Anbar, Al Baghdadi è stato colpito in una casa a Qaim, lungo il confine con la Siria, e da lì trasportato verso il territorio siriano a bordo di un’autoambulanza nera. (La Repubblica)
La prudenza americana (solo ora gli sforzi dell’intelligence sul territorio iniziano a dare i loro frutti) non toglie però che gli obiettivi militari di ripristino del governo legale in Iraq ricevano una grande spinta verso il successo delle operazioni con il raid di venerdì scorso, califfo dead or alive. La sostituzione di un gruppo dirigente in una struttura fortemente piramidale indebolisce la struttura stessa.
Naturalmente esiste anche la possibilità che Al Baghdadi venga sostituito da qualcuno più competente e carismatico. La panchina dell’Is non sembra però ospitare simili candidati. Benché le probabilità che Al Baghdadi viva ancora per molti anni sono scarse, esiste tuttavia un fattore storico che induce a trattenere l’ottimismo.
Tutti i leader morti che ho citato sono stati uccisi quando le loro organizzazioni erano già indebolite. La loro morte ha dunque segnato la fine, e non l’inizio, di un processo di declino. L’ascesa dell’Is sembra aver subito un rallentamento, ma nulla lascia supporre che la rotta sia stata invertita, o che lo sarà prima di molti mesi, forse addirittura anni. (Jason Burke, La Repubblica)