L’appello di Aung San Suu Kyi contro il prolungamento degli arresti domiciliari è stato respinto e l’attivista per la democrazia in Birmania dovrà rimanere confinata nella sua residenza. Il provvedimento di condanna era stato stabilito in seguito ad uno “strano” incidente di alcuni mesi fa, quando un cittadino statunitense aveva cercato di raggiungere a nuoto l’abitazione, dove la Kyi doveva vivere in isolamento, perchè, aveva dichiarato l’uomo, “sentiva che Suu Kyi era in pericolo e doveva salvarla”.
«L’appello è stato respinto, ma ci rivolgeremo alla Corte suprema» ha fatto sapere l’avvocato di Suu Kyi e portavoce della Lega nazionale per la democrazia, Nyan Win, dopo la bocciatura del tribunale di secondo grado. La prima condanna a tre anni di lavori forzati era stata convertita in un anno e mezzo di arresti domiciliari, stessa pena inflitta a due collaboratrici dell’attivista. Anche le due donne si sono viste respingere l’appello che avevano presentato.
John Yettaw, l’americano all’origine del “pasticcio”, era stato condannato a sette anni di lavori forzati, ma Washington aveva ottenuto il suo rilascio grazie all’intervento del senatore Jim Webb.