Gli auguri sono arrivati da leader e attivisti di mezzo mondo, così come gli appelli al rilascio. Ma, anche in occasione del suo 65/esimo compleanno, la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi ha passato la giornata nella sua residenza di Yangon da prigioniera, come per quasi 15 degli ultimi 21 anni, in un sostanziale isolamento.
Con ormai la certezza di non poter prendere parte alle elezioni previste entro quest’anno – le prime dal 1990, quando il trionfo del suo partito non fu onorato dal regime – Suu Kyi é stata festeggiata a distanza sia in patria sia all’estero. In Birmania, i sostenitori del premio Nobel per la Pace hanno annunciato di voler piantare 20 mila alberi in suo onore; nell’ex capitale Rangoon, centinaia di colombe sono state liberate dalle loro gabbie. Manifestazioni, tra ieri e oggi, sono state organizzate dall’Australia agli Stati Uniti, in molti casi all’esterno delle sedi diplomatiche birmane.
Il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato una raccolta di foto inedite di Suu Kyi da giovane e insieme al marito Michael Aris, morto nel 1999. Si sono moltiplicate anche le dediche dei politici. Il presidente statunitense Barack Obama ha scritto una lettera a Suu Kyi, definendola una fonte di “ispirazione” e lodando “la sua determinazione, il suo coraggio e il suo personale sacrificio”. Ban Ki-Moon, segretario generale dell’Onu, si è detto “profondamente preoccupato” dal fatto che la donna rimanga in detenzione. Per il premier britannico, David Cameron, il premio Nobel è “un potente simbolo della forza dello spirito umano”. In Italia il ministro per le Pari opportunità , Mara Carfagna, ha rivolto i suoi “auguri di cuore” all’icona della dissidenza, la cui voce “ci giunge forte e chiara”.
Parole che non potranno però allietare Suu Kyi, sprovvista di Internet e telefono. In attesa di una data per le elezioni – che gli osservatori continuano ad attendersi per ottobre – la donna dovrà comunque rimanere agli arresti domiciliari fino a novembre. Dopo l’ultima estensione decisa l’anno scorso, in seguito alla bizzarra visita di un americano, molti attivisti si aspettano già un ulteriore pretesto per prolungare la sua detenzione. Per la giunta militare, tra l’altro, ormai Suu Kyi è una criminale condannata e neanche più una leader politica. Il partito da lei guidato, la Lega nazionale per la democrazia (Lnd), è andato infatti incontro allo scioglimento forzato dopo aver deciso di boicottare il voto in protesta contro le condizioni fissate dalla giunta, che gli imponeva di espellere la leader dai suoi ranghi. Una costola del Lnd – intenzionata a iscriversi alle liste – ha fondato un nuovo partito, la “Forza democratica nazionale”, che però sta incontrando notevoli difficoltà nel soddisfare i requisiti necessari.