LIBIA – Con il blocco di Internet e Facebook inaccessibile, l’onda delle rivolte in Libia rischia di estendersi da Bengasi, capoluogo della Cirenaica tradizionalmente avversa a Muammar Gheddafi, al resto del Paese con una repressione sanguinosa che ha già fatto un centinaio di morti. I primi dati diffusi da Human Right Watch per tre giorni di contestazione parlavano di 84 vittime, ma poi sono salite oltre i 100 in tutto, fino a testimoninanze che parlano di 250.
Mentre la tv araba Al Jazeera ha riferito di 15 vittime solo nella giornata di sabato, quando dei cecchini che hanno aperto il fuoco contro un corteo funebre a Bengasi. ”Bengasi è nel caos”, ha raccontato un italiano sul posto, e anche a Derna, 350 chilometri dalla città al centro della rivolta, secondo testimoni la situazione è drammatica.
Un dimostrante a Bengasi ha riferito inoltre alla Bbc che anche alcuni soldati stanno passando ”dalla parte della protesta”, mentre qualcuno riferisce di una citta’ quasi ‘fantasma’ con le forze di sicurezza ritiratesi nella cittadella fortificata, noto come il Centro di Comando, da dove ”sparano i cecchini”.
E, secondo al Jazeera, alcuni aerei da trasporto militari carichi di armi per la polizia sono atterrati in un aeroporto a sud di Bengasi. Poi sono testimonianze e voci incontrollabili quelle che si rincorrono e si accavallano e cui – insistono tutti i media – è difficile trovare riscontri. Come quelle che riguardano anche il figlio di Gheddafi, Saadi, segnalato anche lui nel capoluogo della Cirenaica, assediato dai manifestanti secondo il quotidiano libico ‘Libya El Yom’ che parla anche di una forza militare speciale di circa 1.500 soldati e capeggiata da Abdallah Al Senoussi – genero e capo della guardia speciale del colonnello Gheddafi – diretta nella città per prelevare Saadi e riportarlo a Tripoli.
Negato l’ingresso alla stampa internazionale (ancora informazioni non verificabili riferiscono di manifestanti al valico di confine tra Libia ed Egitto intenzionati a prenderne il controllo proprio per far passare i giornalisti) è la voce degli esuli che getta luce sulla Libia in fiamme: ”Sarà un massacro, sarà un bagno di sangue se la comunità internazionale non interviene”, dice Mohammed Ali Abdallah, vicesegretario generale del Fronte nazionale per la salvezza della Libia, secondo cui forze speciali di sicurezza si apprestano ad attaccare Bengasi e altre città della Libia orientale per lanciare la repressione piu’ dura: “Potrebbe esserci un bagno di sangue già nelle prossime 48 ore”.
Forze speciali sarebbero inoltre pronte ad agire, pensate e organizzate per una lotta senza confini: l’obiettivo è annientare la protesta e per farlo, spiega un oppositore, si reclutano “unità militari di origine africana, che non hanno legami tribali e sulle quali si può quindi contare per una letale campagna di repressione”. Perché se “un territorio sempre maggiore nell’est del Paese è sotto il controllo dei manifestanti – spiega la stessa fonte alla Cnn – è per via della struttura tribale che caratterizza la Libia: agenti di polizia e delle forze di sicurezza si rifiutano di sparare contro i manifestanti che appartengono alle loro stesse tribù”, quindi il governo ricorre a “unità militari di origine africana che non hanno legami tribali”.
