Bp pagherà il contro della marea nera nel Golfo del Messico, ma punta il dito contro Transocean, la società svizzera delle trivelle proprietaria della piattaforma affondata Deepwater Horizon.
“Non è stato il nostro incidente. La piattaforma era di Transocean ed è loro l’attrezzatura che si è guastata”, ha detto alla Nbc l’amministratore delegato Tony Hayward. La marea nera è triplicata negli ultimi tre giorni ma gli interessi in gioco sono “sbalorditivi”, come ha detto il governatore del Texas Rick Perry che teme le ripercussioni economiche per il suo stato del blocco delle esplorazioni petrolifere sottomarine: ‘Quello di Deepwater e’ stato forse un atto di Dio. Un incidente non prevenibile”.
Per difendere l’immagine della società di cui solo tre anni fa ha preso il timone, l’ex geologo Hayward ha fatto oggi il giro dei media: “Difenderemo le spiagge. Bp è assolutamente responsabile per il petrolio. Siamo responsabili per la decontaminazione ed è quello che intendiamo fare”, ha detto il Ceo prima di volare nella capitale per incontrare il ministro dell’Interno Ken Salazar, la capo dell’Epa Lisa Jackson e il ministro della Homeland Security Janet Napolitano.
Domenica Obama ha ricordato a Bp che il prezzo da pagare è alto e secondo l’agenzia di valutazione finanziaria Fitch potrebbe arrivare a due-tre miliardi di dollari solo per il lavoro di decontaminazione.
Nel Golfo del Messico intanto le condizioni meteorologiche sono leggermente migliorate, il che agevola l’opera di contenimento della marea nera mentre nel week end il mare agitato aveva distrutto la fragile rete di galleggianti di contenimento stesa a difesa delle coste di Mississippi e Alabama.
I venti stanno cambiando e spingono verso le spiagge turistiche della Florida i tentacoli della piovra mentre sul fondo dell’oceano il geyser sottomarino di petrolio (“Immaginate un vulcano”, ha detto il governatore della Florida Charles Crist) continua a sgorgare greggio a un ritmo di almeno 800 mila litri al giorno. Per Bp e per Hayward è una battaglia a due fronti: da un lato il contenimento della falla e la decontaminazione del Golfo, dall’altra la selva di rivendicazioni e di azioni legali all’orizzonte.
Bp si è impegnato a pagare ‘tutte le richieste di indennizzo legittime e verificabili”, ha detto l’amministratore delegato, mettendo però bene in chiaro – e anticipando dunque azioni di rivalsa – che “quella piattaforma era operata dalla gente di Transocean, dai loro sistemi”. A ruota la replica del portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs: “Se i pescatori del Golfo non pescano, Bp dovrà pagare”.
Intanto in Congresso è scattata un’altra battaglia: tre senatori democratici hanno presentato una proposta per alzare a dieci miliardi di dollari il tetto dei danni economici legati a una perdita di petrolio offshore. Attualmente per legge il tetto oltre il quale Bp non è più costretta a pagare è di appena 75 milioni di dollari.