
«Non mi piacciono i neri. Non li capisco, mi fanno paura», Annelie Botes l’ha detta grossa. Lei è bianca, di mestiere fa la scrittrice, è sudafricana e non si vergogna di quello che ha detto. Per lei «la faccia della criminalità in Sudafrica è nera».
«È la verità. Sarò stata impulsiva, forse è ingiusto mettere tutti i neri sotto lo stesso ombrello. Naturalmente, ci sono molti neri che mi piacciono. Ma volevo dire quello che ho detto. Uno scrittore non è tenuto a essere politicamente corretto».
La sua lingua è l’africaans, quella dei Boeri, i bianchi di origine olandese, gli attori dell’apartheid che ora si sentono discriminati. Il punto è che la Botes nonostante sia stata duramente attaccata per le sue parole razziste, in testa il quotidiano britannico The Guardian, non vuole nessun ritorno al passato e alla segregazione. E’ convinta di avere solo detto la sua, non si sente poco sensibile per aver ammesso che non ha mai preso un drink con un nero. E un giardiniere nero non lo vorrebbe.
Ammette «le mostruosità indicibili» contro i neri fatte dal regime. Poi spiega che non avrebbe problemi «a condividere il tavolo o il bagno con un nero». Scomoda, contraddittoria, contro i neri ed è anche fra gli scrittori più letti nel suo Paese: ecco perché fa paura.
