I morti tunisini non ci consentono più di sottovalutare quanto sta accadendo in Africa settentrionale. Se i morti algerini, divampati la scorsa settimana, promettevano di creare qualche problema dāordine pubblico, ma niente di più, a Abdelaziz Bouteflika, quelli scoppiati, più virulentemente, quando nessuno se lo aspettava, nella vicina Tunisia, indicano che il malessere nel Maghreb si sta diffondendo a macchia dāolio, con conseguenze nefaste per la regione che rischia il contagio.
Ad essere precisi, fin dal 17 dicembre a Tunisi si temeva che alcuni segnali di rivolta potessero tramutarsi in qualcosa di più consistente. Lāesercito fece la sua parte ed il presidente Zine El-Abidine Ben AlƬ potĆØ mostrarsi allāopinione pubblica con il sorriso di sempre. Invece lāinquietudine covava e forse si attendeva che i casseur algerini dessero il via ad una nuova e ben più consistente ondata di proteste. I giovani tunisini, imitando i loro coetanei di Algeri, Costantine, Orano sono scesi negli ultimi giorni in strada devastando negozi, uffici pubblici, scagliandosi contro le forze di polizia spesso soltanto con sassi e qualche arma rudimentale.
Il governo ha accettato la sfida, pur mostrandosi disponibile a qualche concessione facendo scarcerare i primi arrestati dopo pochi giorni di detenzione, e schierando le forze armate a presidio delle cittĆ . La paura non ha agito da deterrente: nessuno sa quanti siano stati i morti nella capitale, a Kasserine e a Sfax, oltre che in altri centri minori, dove il sucidio di cinque ragazzi, ormai reputati eroi della āviolenza civileā, vine considerato un atto dāaccusa che coinvolge tutto il Paese contro il regime autocratico di Ben AlƬ, al potere dal 1987, quando prese il posto di Burghiba.
Lāesercito non sarebbe più con il presidente. Un colpo di Stato, tuttavia, nelle condizioni attuali, aggraverebbe la situazione. Non cāĆØ, infatti, nessuno, se non i militari, capace di fronteggiare i moti. Ma la popolazione non accetterebbe una dittatura che sarebbe necessariamente repressiva. Purtroppo non esiste in Tunisia una vera e propria opposizione politica organizzata al regime, come, del resto, non cāĆØ neppure in Algeria, a meno di non voler considerare tali delle minoranze addomesticate o ininfluenti. Le violente reazioni perlopiù giovanili determinate dal rincaro dei beni di prima necessitĆ , a cominciare dal pane, per quanto possa essere incredibile, sono spontanee.
Si sono diffuse nei due Paesi quasi simultaneamente poichĆ© il deteriorarsi della qualitĆ della vita, soprattutto nei ceti meno abbienti, tanto in Tunisia che in Algeria ha le stesse motivazioni economiche e sociali che impattano sulla complessiva condizione dei giovani che si sentono privati dalla possibilitĆ di avere un destino. Fallito il miraggio che negli anni passati aveva offerto loro il fondamentalismo islamico, costretti a convivere con un assistenzialismo insoddisfacente, indotti, quando possono ad espatriare, pur in possesso di diplomi e di lauree, sono finiti nel gorgo di una comprensibile disperazione che le nomenclature dei rispettivi Paesi hanno sottovalutato per troppo tempo, tenendoli in scacco con la lotta allāislamismo radicale e la difesa delle ragioni della ārivoluzioneā che, soprattutto in Algeria, nessuno più sente.
