In Tunisia, complice un turismo soddisfacente i cui effetti sono stati “sequestrati” dai beneficiari del potere, una ristretta classe di oligarchi che ha garantito a Ben Alì il dominio pressoché assoluto e tutto sommato pacifico per circa venticinque anni, adesso vengono considerati in qualche modo all’asta dalle giovani generazioni, nel senso che anch’esse vogliono partecipare, com’è giusto che sia, alla spartizione del benessere piuttosto che restare miseramente a guardare. Siccome la negazione di tutto ciò è quasi codificata tanto nello statalismo algerino che nel blando liberismo tunisino ecco che i terminali dell’insoddisfazione, e dunque delle tassazioni, sono le giovani generazioni che reagiscono nel solo modo possibile, considerando che non hanno altri modi per far sentire l’inquietudine di cui sono prova – non sembri strano – la musica, le canzoni di largo consumo ed un po’ di letteratura che deve superare, senza riuscirci sempre, le maglie della censura, soprattutto in Algeria.
Le ristrettezze poi delle norme comunitarie europee in materia di immigrazione, rende più difficile l’espatrio (sempre comunque doloroso) di quanti vorrebbero farsi una vita in Spagna, Italia, Grecia e Francia. Questi i Paesi più “gettonati” dove giovani tunisini ed algerini volentieri proverebbero a costruirsi un destino. I più devono rinunciarci. Altri devono fuggire da clandestini con la prospettiva di essere rimpatriati ed affogare nel mare dell’inedia in cui con fatica nuotano.
Da qui, in particolar modo in Algeria, l’estendersi della criminalità giovanile. Infatti, nei moti dei giorni scorsi, bande di delinquenti, disorganizzate e non rispondenti a nessuna logica se non la violenza, hanno giocato un ruolo decisivo nel trascinare le popolazioni dei quartieri più periferici delle grandi città, quelli nei quali solitamente neppure la polizia riesce ad entrare, come nella casbah di Algeri, a scendere in strada per rendere chiara la loro insoddisfazione.
Dire oggi, nel bel mezzo di quella che viene definita impropriamente “rivolta del pane” che cosa accadrà di politicamente rilevante in Tunisia ed in Algeria è difficile. I governi dei due Paesi non possono promettere molto. Bouteflika, malmesso in salute, in carica dal 1999, circondato da una casta di “devoti” perlopiù formatisi all’ombra del mito del socialismo e dell’indipendentismo, ha lanciato nella primavera dell’anno scorso un ambizioso piano quinquennale finalizzato alla modernizzazione dell’Algeria stanziando 286 miliardi di dollari che nessuno sa da dove dovrebbero arrivare. Il salario minimo garantito è di 150 dollari al mese; un insegnante di liceo guadagna 450 dollari, un rettore universitario 700. Gli alloggi vengono assegnati con criteri clientelari, molti non riescono a pagare il fitto. Trasporti, istruzione, ospedali, forniture elettrice ed idriche sono i settori “vitali” più carenti.
Dalle promesse del presidente tutti si attendevano un cambio di marcia, ma ancora oggi non è partito un solo cantiere e quel che c’è da ricavare dalla espansione considerevole delle piccole e medie imprese, spesso associate a quelle europee, viene consumato in loco; il sistema delle esportazioni, insomma, è deficitario mentre avrebbe grandi possibilità di sviluppo se soltanto gli investimenti occidentali venissero incoraggiati.
Ben Alì finora ha mascherato il disagio con una politica paternalistica, ma ferma nello stroncare ogni tipo di opposizione. E’ andato avanti così per più di due decenni. Coloro i quali non erano ancora nati quando prese le redini della Tunisia, complice Internet, la televisione satellitare e l’occidentalismo che respirano, in particolare nei centri turistici frequentati dagli europei, non ci stanno a farsi cullare dall’illusione di un futuro che non riescono a percepire. Disorganizzati, improvvisati, sprovveduti si lanciano a mani vuote contro la corruzione del potere e la loro esclusione dal futuro, come dice qualcuno in questi giorni.
L’impasse è il demone che si staglia sullo sfondo delle vicende algerine e tunisine. Altrove, dove pure l’aria, per motivi diversi, sta facendosi di giorno in giorno sempre più irrespirabile, come in Marocco e in Egitto, c’è un potere vivo capace di arginare le crisi di legalità e di legittimità che stanno travolgendo l’Algeria e la Tunisia. Per quanto tempo ancora, non si sa. Gli osservatori più attenti ritengono, per fortuna, che dietro la violenza di questi giorni non c’è nulla che possa far pensare all’islamismo declinato in ferocia politica. Eppure non si può stare tranquilli. Purtroppo, l’ombra di Al Qaeda, da quelle parti, si staglia sempre minacciosa pronta a cavalcare il malessere che, colpevolmente, l’Occidente vede soltanto quando si manifesta. Da qualche settimana il Mediterraneo è più inquieto.
