ROMA- «Discendi nel cratere dello Jokull di Sneffels che l’ombra dello Scartaris viene a lambire prima delle calende di luglio, viaggiatore ardito, e giungerai al centro della Terra. Ecco quello che io feci. Ame Saknussemm». Così recitava la vecchia pergamena che porge il via al “viaggio al centro della terra” di Jules Verne, anno 1864. E centocinquantanni dopo l’uomo ha deciso di provarci davvero. Se i moderni protagonisti di questa impresa non puntano al centro della Terra, luogo/non luogo irraggiungibile, sperano di riuscire ad oltrepassare quella piccolissima parte di pianeta su cui viviamo, la crosta, per raggiungere lo strato sottostante: il mantello.
“Siamo andati sulla Luna, ma non abbiamo mai superato i 2 chilometri sotto terra” spiegano Damon Teagle, lo scienziato del Centro nazionale di oceanografia dell’università di Southampton deciso ad aprirsi una strada verso il centro della Terra, e la collega Benoit Ildefonse del Centro di geoscienze dell’università di Montpellier. I due guideranno il consorzio europeo di 24 paesi (fra cui l’Italia) Ecord, pronto ad attraversare con una trivella la crosta terrestre e a toccare per la prima volta il mantello. E non è cosa da poco. Per raggiungere lo strato superiore del mantello infatti gli scienziati dovranno affrontare 300 gradi di temperatura e una pressione di 21 milioni di chili al chilometro quadrato, solo una trivella e non certo un uomo può pensare di affacciarsi in un simile universo. Se riusciranno nell’impresa l’occhio di Ecord sarà il primo a gettare uno sguardo su quello che c’è al di sotto della crosta terrestre, cioè sotto i nostri piedi. “Per la scienza sarà un tesoro prezioso quanto le rocce lunari raccolte dalla missione Apollo” spiegano Teagle e Ildefonse.
Ma l’impresa non sarà nè facile nè breve. Il mese prossimo partirà una missione per raggiungere il record attuale di profondità (2.111 metri sotto al fondale marino) in un punto del Pacifico orientale al largo del Costa Rica. “Ma per toccare il traguardo del mantello ci siamo dati la scadenza di fine decennio” spiega Teagle. “Le tecnologie usate in Islanda nel settore geotermico ci permettono di lavorare a 300 gradi. Le sfide principali nascono dalla pressione enorme, dalla necessità di trovare materiali resistenti per la punta delle trivelle e lubrificanti efficienti”. Per lo scavo sono stati ipotizzati tre punti nel Pacifico: a est del Messico, a est del Costa Rica o alle Hawaii. “Sotto al mare – spiega Teagle – la crosta terrestre è più sottile e basta scavare 6 chilometri per raggiungere il mantello”. In corrispondenza delle terre emerse invece la crosta ha uno spessore di almeno 30 chilometri. Ma anche lavorare sott’acqua crea delle difficoltà, per lo scavo verrà usata la gigantesca nave giapponese Chikyu, 210 metri di lunghezza, 56mila tonnellate di stazza e una specializzazione in trivellazioni a grandi profondità per studiare i terremoti. Con lei non ci sarà bisogno di gettare ancore: “la nave – spiega Benoit Ildefonse – ha un sistema di “posizionamento dinamico” che le permette di restare immobile sulla verticale del foro, che avrà un diametro di 6 centimetri. La trivella ha una parte cava al suo interno per far risalire il materiale di scavo. Per raggiungere il mantello dovremmo costruire trivelle più grandi delle attuali, e quindi trovare materiali più leggeri”. Ma anche il gigante dei mari nipponico non potrà risolvere tutti i problemi: “dobbiamo scegliere un punto vicino ai crinali sottomarini, ma non troppo: lì la crosta si forma continuamente ed è più sottile, ma le temperature sono anche più alte” dice il ricercatore inglese.
Se l’impresa riuscirà, se i ricercatori riusciranno ad aprirsi una via per sbirciare cosa si nasconde sotto la crosta terrestre, certo non incontreranno dinosauri, oceani nascosti e foreste di funghi giganti come immaginava Verne. Ma l’impresa sarà altrettanto fantastica, almeno per la scienza, perché regalerebbe alla scienza e all’umanità tutta un bagaglio di informazioni e conoscenze che nemmeno possiamo immaginare.