
ROMA – Aglio-free, dalle mense alle ricette: Guido Ceronetti denuncia l’agliofobia. Nella cultura alimentare italiana va diffondendosi un bando anti-storico e autolesionista: dalle mese alle ricette sempre più spesso compare la dicitura aglio-free, una concessione moderna al politicamente corretto culinario che Guido Ceronetti, figura inclassificabile di poeta/filosofo, erudito senza accademia e marionettista, si incarica di denunciare. A partire dalla denominazione.
La Multinazionale del Brutto Linguistico e quella della pseudo Cucina Mediterranea, faro di tutti i dietologi, stanno moltiplicando le etichette alimentari dove in caratteri ben visibili si legge: AGLIO FREE. L’ignobile ibridismo di lingua venduta compare anche, per rassicurare immaginari e reali clienti refrattari, sulle Carte esposte dei ristoranti: entrate fiduciosi: tutto, qui da noi, nulla fa eccezione, è AGLIO FREE. Finirà anche nei cortei giovanili: “Fuori l’aglio dalle cucine”? La Rete docet. Non ci mancherà la demenza. (Guido Ceronetti, La Repubblica)
Come per ogni nostra abitudine alimentare è necessario conoscere un po’ di storia: senza un adeguato condimento intellettuale non si coglie l’importanza dell’aglio nelle nostre cucine, senza l’aglio non si sa più che farsene nemmeno del concetto di cucina mediterranea. Di interdizioni, ma per regolarne gli abusi, si conosce qualche esempio, come quello di Marco Aurelio Antonino che lodava le sue legioni barbariche dei Quadi e dei Marcomanni perché non puzzavano d’aglio “come i Giudei”. Non che si siano mai riscontrate particolari fobie antisemite nel filosofo imperatore, la lode piuttosto dimostrava l’uso intensivo dell’aglio presso gli Ebrei.
Certamente a Gerusalemme si faceva un uso smodatissimo di aglio mediterraneo e il ghetto di Roma ne rimandava l’onda al vicino Capitolium. L’inquisizione spagnola spiava le case dei marrani (ebrei convertiti) e per scoprire se fossero battezzati mendaci, il venerdì sera, gli basta uscissero esalazioni d’aglio, per la venuta del Sabato, dai camini fintocredenti. E certamente, fino ad oggi, la cucina cashèr non si è separata dall’aglio, ma tra gli ebrei laici? Casa Proust, Rotschild, Disraeli, Montefiore, Herzl? La cucina, spesso, è un’idea. Oggi, forse, (dovrei informarmi) l’umiliante Agliofree lo trovi nei ristoranti di Tel-Aviv, dove i primi coloni piantavano l’aglio ancor prima del frumento.
Ceronetti pensa che sarebbe utile una legge contro l’agliofobia. Di sicuro è più tranquillo se sa che una treccia d’aglio difende la casa dagli spiriti maligni e dai demoni. E deplora che ospedali, case di riposo e centri termali e di benessere non prevedano nemmeno la scelta individuale di rinunciare all’aglio. Ciò che lo tormenta è un mai troppo indagato rapporto tra la scomparsa dell’aglio dalla dieta e una certa pigrizia riproduttiva.
A Enrico IV di Navarra strofinarono uno spicchio d’aglio sulla lingua le levatrici, all’uso provenzale e occitanico, ne consumava senza economia e le donne impazzivano per lui, meritatamente detto le roi gallant. Perché l’aglio è anche un potente afrodisiaco! E non è impensabile che tanta crescente frigidità femminile e il calo impressionante del desiderio virile abbiano nel panico sociale che ha imposto aglio-free una concausa possibile.
