ROMA – Comuni, Corte Costituzionale boccia i tagli di Monti. La Corte Costituzionale ha bocciato i criteri con i quali sono stati distribuiti nel 2013 circa 2,2 miliardi di tagli ai Comuni. Con la sentenza 129, su ricorso di Lecce e Andria, la Corte Costituzionale dichiara infatti l’illegittimità del secondo decreto sulla spending review del governo Monti (del luglio 2012), al capitolo che riguarda i tagli al fondo sperimentale di riequilibrio e al fondo sperimentale per 2,250 miliardi di euro, laddove stabiliva che il riparto dei tagli spettava al ministero dell’Intero, attraverso un decreto di natura non regolamentare, e “in proporzione alla media delle spese sostenute per consumi intermedi nel triennio 2010-2012, desunte dal Siope”.
Per i giudici costituzionali “il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Città e autonomie locali nella fase di determinazione delle riduzioni addossate a ciascun Comune” unita “alla mancanza di un termine per l’adozione del decreto ministeriale e alla individuazione dei costi intermedi come criterio base per la quantificazione dei tagli finanziari, comporta, infatti, la violazione degli artt. 3, 97 e 119” della Costituzione.
“Nessun dubbio – scrive la Consulta – che le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali; tuttavia, tale incidenza deve, in linea di massima, essere mitigata attraverso la garanzia del loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio” e “non può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione”.
In più se è vero che “i procedimenti di collaborazione tra enti debbono sempre essere corredati da strumenti di chiusura che consentano allo Stato di addivenire alla determinazione delle riduzioni dei trasferimenti” in caso di “inerzia degli enti territoriali”, questo “non può giustificare l’esclusione sin dall’inizio di ogni forma di coinvolgimento degli enti interessati, tanto più se il criterio posto alla base del riparto dei sacrifici non è esente da elementi di dubbia razionalità, come è quello delle spese sostenute per i consumi intermedi”.
“In effetti – si legge ancora – non appare destituita di fondamento la considerazione, sviluppata dal giudice rimettente (il Tar del Lazio, ndr), che nella nozione di ‘consumi intermedi’ possono rientrare non solo le spese di funzionamento dell’apparato amministrativo – ciò che permetterebbe al criterio utilizzato di colpire le inefficienze dell’amministrazione e di innescare virtuosi comportamenti di risparmio -, ma, altresì, le spese sostenute per l’erogazione di servizi ai cittadini. Si tratta, dunque, di un criterio che si presta a far gravare i sacrifici economici in misura maggiore sulle amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla loro virtuosità nell’impiego delle risorse finanziarie”.
Il criterio delle spese per consumi intermedi “non è dunque illegittimo in sé e per sé”, spiegano i giudici costituzionali, ma “la sua illegittimità deriva dall’essere parametro utilizzato in via principale anziché in via sussidiaria”. Per questo la Consulta “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (il decreto spending review ‘bis’ del 2012) “nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun Comune nell’anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l’indicazione di un termine per l’adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’interno”.