ROMA – Dopo una settimana sotto traccia, rimbalza sulle pagine dei principali quotidiani il nodo cruciale del Trattato per il “rafforzamento dell’unione economica europea”. Il trattato è in discussione da mesi, dai tempi di Tremonti, ma ora è Monti a avere ereditato la patata bollente.
Dopo un lungo silenzio, il Governo, anche sotto la pressione di un numero crescente di economisti che avevano scoperto le insidie per l’Italia racchiuse nel Trattato, ha cominciato a informare i cittadini, mentre, a partire dalla fine del 2011 (la scadenza per presentare emendamenti era al 29 dicembre), hanno avuto inizio frenetiche trattative nei luoghi del potere europeo a Bruxelles.
Il Trattato rischia di portare l’Italia, già in recessione per la dissennata manovra fiscale di Mario Monti e la sua incapacità di svincolarsi dall’abbraccio paralizzante dei sindacati, in una depressione ancora più profonda. Infatti la versione originale dell’art.4 della bozza del Trattato prevedeva che che “ogni Paese che abbia un rapporto debito pubblico su PIL superiore al 60% (come l’Italia) dovrà impegnarsi a ridurlo ogni anno per 1/20 della distanza dal valore di riferimento. Dato che l’Italia è oggi al 120%, del 60% superiore al valore di riferimento del 60%, questo significherebbe che ogni anno dovrebbe ridurlo di un ventesimo di 60, cioè del 3%, il che, tradotto in soldi, vorrebbe dire vent’anni di stangate e manovre di circa 40-50 miliardi all’anno e anche di più se siamo in recessione, con il PIL che cade.
Riferisce da Bruxelles Beda Romano sul Sole 24 Ore che proprio nel giorno della Befana, giorno di festa in altri paesi europei oltre l’Italia, il gruppo di tecnici che lavora al documento sarà immerso in riunioni che si possono immaginare molto tese, avendo come obiettivo “un tentativo di rassicurare i mercati (e la Germania)”.
Con un ottimismo che dovrà essere confermato dai fatti il giornale afferma che “la nuova bozza, preparata a cavallo dell’anno, premia gli sforzi italiani tutti tesi ad ammorbidire impegni troppo gravosi di riduzione del debito pubblico”.
Era quanto chiesto da un appello a Monti lanciato da Gustavo Piga, docente di economia a Roma. A quanto sostiene il Sole 24 Ore, sull’articolo 4, il governo Monti aveva presentato un emendamento chiedendo “che fosse ricordata la recente riforma del patto di stabilità. Questa ammorbidisce l’impegno, tenendo in considerazione eventuali «fattori rilevanti». La nuova bozza accoglie la richiesta italiana, citando i regolamenti 1467/97 e 1177/2011, in altre parole il six-pack. Tuttavia, menziona l’articolo 2/1a (di introduzione) allorché l’emendamento italiano si riferiva in generale ai due regolamenti (in modo da considerare esplicitamente la parte dedicata ai «fattori rilevanti»)”
Fine dell’ottimismo: “In compenso, l’articolo 7 introduce una novità che potrebbe rivelarsi fastidiosa agli occhi dei diplomatici italiani. Nel riferirsi alla procedura di deficit eccessivo e al voto del Consiglio sulle raccomandazioni della Commissione, la nuova versione del Trattato non si riferisce «alla violazione del criterio del disavanzo», come in precedenza, ma alla «violazione del criterio del disavanzo e del debito».”
Meno ottimista del Sole 24 Ore appare il Corriere della Sera, che non dà affatto per acquisito l’ammorbidimento dell’art. 4 (ma forse ha solo minori informazioni del Sole 24 Ore) e dà invece per certa la vantata o millantata conquista di Giulio Tremonti perché fosse incluso nel calcolo del debito di un paese il consolidato tra debito pubblico e debito (o credito, come nel caso italiano) privato:
In questo caso, scrive Giuseppe Sarcina, Tremonti “aveva ottenuto due correttivi. Primo: il calcolo del debito deve considerare anche «altri fattori rilevanti», cioè il risparmio privato, la sostenibilità del sistema pensionistico e ulteriori componenti positive del sistema. Secondo: il nuovo sistema sarebbe entrato in vigore solo a partire dal 2014. Bene, il governo Monti ha presentato un documento proprio per ripristinare questi due passaggi anche nel nuovo accordo”.
Intanto Monti si agita, tra Bruxelles, Parigi e Londra, sperando di trovare sponde amiche alle aspettative italiane.