Sono scesi in strada, con una fiaccolata, per dire sì all’accordo tra la Fiat e i sindacati. Per dire che si ha voglia, necessità di tornare a lavorare. In 5.000 alla partenza – 3.000 a corteo finito, complice la pioggia – hanno chiarito la loro posizione e hanno anticipato che martedì prossimo, quando in fabbrica ci sarà il referendum, ci sarà anche chi non scriverà no. La Fiom non usa mezzi termini: “Chi pensava di dividere i lavoratori – ha sottolineato Andrea Amendola, segretario provinciale – ha, invece, avuto conferma che non si fanno abbindolare. Vogliono lavorare ma vogliono anche i loro diritti”. Sulla stessa linea anche la Cgil campana: “E’ stato un flop”.
Per tanti oggi l’obiettivo doveva in qualche modo essere lo stesso di quello di trent’anni fa, di quel 14 ottobre del 1980, quando a Torino in 40.000 tra impiegati e quadri della Fiat protestarono contro il picchettaggio, organizzato contro la decisione della Fiat di mandare in cassa integrazione 24mila lavoratori, che impediva loro di entrare in fabbrica a lavorare da 35 giorni. Numeri, epoche e scenari diversissimi, ma il messaggio, di allora e di oggi, voleva essere lo stesso: lavorare. E quindi, dire di sì all’intesa sottoscritta lo scorso 15 giugno, tranne che dalla Fiom; manifestare il consenso all’accordo per la produzione della Nuova Panda.
Oggi a sfilare c’erano anche i capi reparto e capi squadra, accusati in questi giorni di aver fatto pressioni sugli operai. Hanno precisato: “E’ una iniziativa spontanea”. “Abbiamo spiegato ai lavoratori i termini dell’accordo – ha sostenuto Lorenzo, uno dei capi squadra – ed ora sta a loro decidere, anche se noi speriamo in un sì che dia un futuro non solo al ‘Vico’ ma all’intero sud”. “L’azienda non ci ha chiesto nulla – ha aggiunto Giocondina, impiegata nel reparto Qualità – e noi voteremo sì al referendum perché crediamo nel progetto Panda e nell’accordo che non calpesta i diritti, non nega lo sciopero, né di essere malati”.
In prima linea anche le istituzioni, come il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, e il sindaco di Pomigliano, Lello Russo. E poi i lavoratori dell’indotto. “Se chiude Pomigliano noi resteremo senza un lavoro”, dice Stefano Colucci, operaio della ditta De Vizia che si occupa delle pulizie interne allo stabilimento. Il Pdl, per favorire il sì, nella mattinata aveva allestito gazebo per raccogliere firme: ottocento, a detta degli organizzatori, quelle raccolte. La Fiom resta ferma sulle sue posizioni: “Si conferma che siamo di fronte ad una vera e propria manifestazione di regime che ci riporta agli anni più tragici e bui della storia del nostro paese”, ha detto il segretario Maurizio Landini.
E alcuni aderenti al Cobas, durante il corteo, sono andati oltre: hanno esposto striscioni con la scritta ‘servi del padrone’. Fischi e insulti al passaggio della fiaccolata ai quali gli operai hanno risposto urlando ‘Pomigliano, Pomigliano’. Attimi di tensione che hanno fatto allontanare dalla fiaccolata molte famiglie. Alla fine ci ha pensato la pioggia a far sciogliere la marcia: in piazza Mazzini, davanti al Comune, ne arrivano in circa 3.000. Pomigliano, dunque, ancora aspetta. Le ragioni del sì si alternano a quelle del no. E martedì prossimo il referendum, in fabbrica, tirerà la somma. Una volta per tutte.
Nelle ore che hanno preceduto la manifestazione non si sono placate le polemiche. Questa mattina a Pomigliano ha sfilato una manifestazione opposta a quella di questa sera, a favore del “no” e la Fiom è tornata a chiudere la porta dicendo: non firmeremo l’accordo, nemmeno se al referendum tra i lavoratori di Pomigliano dovesse prevalere il sì.
Di Pietro: un referendum farsa. “Vuoi che la Fiat chiuda e ti licenzi, oppure rinunci ai tuoi diritti, compreso quello allo sciopero? Rispondi!’. Sarà questo il vero quesito del Referendum al quale dovranno rispondere i lavoratori della Fiat di Pomigliano il 22 giugno. Siamo certi che questi, per smentire la teoria dell’assenteismo, saranno tutti presenti alla votazione”. Lo scrivono in un post pubblicato sul blog www.antoniodipietro.it il presidente dell’Italia dei Valori, onorevole Antonio Di Pietro, e il responsabile Welfare e Lavoro, Maurizio Zipponi. “Per quanto riguarda i risultati – prevede il leader dell’ Idv – non è difficile immaginare quali saranno: presenti 100%, votanti 99%, a favore 83,2% schede bianche o nulle 3,8%, contrari 13%. A questo punto, esclusi i contrari, che non potranno cavarsela così facilmente e verranno impiegati a fare sempre il turno di notte, l’accordo sarà approvato a larga maggioranza e, soprattutto, ‘convintamente'”. Secondo Di Pietro e Zipponi, da questa vicenda emergono “tre evidenti problemi: il primo riguarda le reali intenzioni che ha la Fiat per la fabbrica di Pomigliano dove l’attacco ai diritti dei lavoratori rispetto agli obiettivi dell’azienda è talmente sproporzionato da far temere che ci sia semplicemente la ricerca di un capro espiatorio nel caso in cui la Fiat non riuscisse a mantenere gli impegni; il secondo problema riguarda Termini Imerese dove la Fiat ha annunciato la chiusura delo stabilimento senza presentare un’alternativa credibile; il terzo e più importante problema è rappresentato dalla totale assenza del Governo sulla politica industriale”.
Tra i politici, il leader Udc Pier Ferdinando Casini si schiera dalla parte di Sergio Marchionne commentando il “non prendiamoci in giro” proferito ieri dall’ammistratore delegato del Lingotto in riferimento alle due ore di sciopero allo stabilimento Fiat di Termini Imerese, coincidente con la partita dell’Italia ai Mondiali. “Purtroppo è la verità – dice Casini, a margine di un convegno organizzato dal Movimento repubblicani europei -. Non è possibile che il tasso di assenteismo nelle fabbriche aumenti in coincidenza con eventi calcistici. E’ chiaro che il sindacato che difende parassitismi e rendite di posizione sbaglia”.
Chi non ci sta è invece il sindaco di Termini Imerese, Salvatore Burrafato. “Nel bel mezzo della vertenza di Pomigliano, ecco Marchionne spostare i riflettori su Termini”. Dove, spiega il sindaco, erano stati i vertici dello stabilimento Fiat a comunicare alle organizzazioni sindacali “che erano pronti, pur di non bloccare la produzione, a modificare l’orario lavorativo per consentire ai lavoratori di poter seguire la partita Italia-Paraguay attraverso dei maxi schermi che sarebbero stati montati a spese della Fiat. Poi, improvvisamente, il dietro front dell’azienda. Marchionne – conclude il sindaco – non può piu’ prendersela con quelli che vogliono ammazzare l’industria in Italia e poi, quotidianamente, ammazzare il sistema manifatturiero di Termini Imerese che sforna auto di qualita’ da trent’anni”.
Per il segretario nazionale del Prc, Paolo Ferrero, chi uccide l’industria manifatturiera in Italia, non è la conflittualità delle sigle sindacali, come vorrebbe l’ad Fiat. “Marchionne mente sapendo di mentire – dice Ferrero, a Bologna per un convegno sulla manovra economica -. E fa ricatti di stile mafioso come ha fatto a Pomigliano. L’alternativa non è tra chiudere le fabbriche o lavorare come bestie, come vuole Marchionne. Ma che le aziende facciano un po’ meno profitti e che si facciano delle politiche economiche che non favoriscano la speculazione finanziaria ma il mondo del lavoro. Marchionne usa il ricatto della delocalizzazione per obbligare la gente a lavorare in modi peggiori anche rispetto agli anni ’50”.
La fiaccolata di Pomigliano, che evoca la famosa marcia dei 40mila a Torino negli anni ’80, è programmata per le 18. In una locandina gli organizzatori sostengono che “è giunta l’ora che tutti i lavoratori dello stabilimento si uniscano per manifestare il proprio consenso all’accordo per la produzione della nuova Panda”. Per il segretario generale Fiom, Maurizio Landini, si tratta di una “manifestazione di regime”.
“Ci giungono segnalazioni – scrive in una nota – da tante lavoratrici e lavoratori che la struttura gerarchica della Fiat sta contattando in queste ore ogni singolo dipendente per ‘invitarlo’ a essere presente alla marcia. E’ questa logica autoritaria e ricattatrice che porta la Fiat a fare organizzare un referendum del tutto illegittimo su un accordo separato che deroga al Ccnl, alle leggi e viola la nostra Costituzione”.