Serve un sì, chiaro e forte. Se non ci sarà una maggioranza consistente di sì al referendum del 22 giugno la Nuova Panda volerà via dall’Italia, molto probabilmente nello stabilimento di Tichy in Polonia. A meno di una settimana dal voto la Fiat lega in modo indissolubile il destino della fabbrica di Pomigliano al giudizio che sarà espresso dai lavoratori sull’accordo firmato il 15 giugno con Fim, Uilm, Fismic e Ugl, senza l’adesione della Fiom.
“La soluzione più facile sarebbe quella di smantellare tutto e andarsene fuori. Si cerchi di non abusare delle buone intenzioni”, ha detto nei giorni scorsi Sergio Marchionne che è a Torino, nell’ufficio al Lingotto, dove continua lo studio dei vari dossier presenti sul suo tavolo. Tra i principali ci sono il rilancio della Chrysler e lo spin off, la separazione dell’Auto dalla società dei veicoli industriali e delle macchine agricole, prevista dal piano strategico 2010-2014.
Non basta una maggioranza risicata per considerare applicabile un’intesa che prevede clausole rigorose proprio per rendere effettivi gli impegni assunti ed evitare conflittualità. L’accordo raggiunto con 4 organizzazioni sindacali su 5 è stato “un primo, enorme passo avanti”, ma per mettere sul piatto i 700 milioni dell’investimento per la Nuova Panda, Marchionne vuole la certezza che quasi la totalità dei lavoratori sia con lui perché la fabbrica di Pomigliano può funzionare soltanto “massimizzando la produttività e lavorando come orologi svizzeri”. Altrimenti, senza un ampio consenso, l’accordo verrebbe messo ogni giorno in forse.
La consultazione, che nell’accordo del 15 giugno è indicata come una delle condizioni per rendere “operativo e praticabile” il piano, non lo preoccupa: “Se i lavoratori non vogliono l’investimento basta che ce lo dicano. Non costringiamo nessuno”, ha esplicitamente affermato, senza troppa diplomazie e giri di parole, l’amministratore delegato della casa torinese a proposito del referendum. L’ipotesi di un piano B è sempre stata presente anche se mai illustrata nei dettagli. Sin dal primo momento, presentando il 21 aprile il piano strategico del gruppo, Marchionne ha detto infatti che se la Fiat non sarà nelle condizioni di effettuarli in Italia trasferirà all’estero i suoi investimenti.