ROMA – Con una produzione di circa 1,6 milioni di barili al giorno e riserve valutate in 46 miliardi di barili di petrolio e 1,5 miliardi di metri cubi di gas, la Libia rappresenta un mercato ambito per le compagnie petrolifere internazionali. Sul territorio sono già presenti i più grandi gruppi mondiali, con in prima linea l’Eni e la francese Total, che in joint-venture con la Noc, la compagnia statale del petrolio, controllano circa un quinto della produzione.
La guerra potrebbe però cambiare radicalmente il panorama, offrendo nuove possibilità e creando nuovi equilibri, anche in ragione delle posizioni assunte dai vari governi. Tutto dipenderà  dall’esito dell’operazione militare in corso e da quale linea politica internazionale avrà la meglio: se l’interventismo della Francia o l’atteggiamento di prudenza e distacco tenuto dalla Cina, da tempo interessata ad entrare in modo piu’ massiccio in Libia, dove prima dell’inizio dei disordini contava già 36 mila lavoratori, di cui molti impegnati nella compagnia petrolifera nazionale Cnpc.
All’arrivo al potere di Gheddafi nel ’69, le compagnie americane estraevano dal suolo libico oltre 2 milioni di barili al giorno: ma molto velocemente Gheddafi nazionalizzò l’industria petrolifera, limitò ‘ la produzione e, per ristabilire un controllo statale sul settore, creò la Noc, che ha dato poi vita alle jv con partecipazioni minoritarie da parte delle aziende straniere. La Libia ha così visto affluire sul suo territorio tutte le compagnie petrolifere occidentali: una quarantina di operatori stranieri hanno partecipato a quattro cicli di aste per aggiudicarsi i campi d’esplorazione con l’obiettivo è di portare la produzione dai circa 1,6 milioni di barili attuali a 3 milioni nel 2013. Una torta da 30 miliardi di dollari di investimenti che fa gola a molti. L’Eni, che è presente in Libia dal 1959, è attualmente il primo produttore del Paese, con circa 244 mila barili equivalenti di petrolio al giorno. Accanto al cane a sei zampe figura la Total, con una produzione che si aggirava nel 2010 sui 55 mila barili equivalenti al giorno (petrolio e gas). La quantità è andata progressivamente diminuendo negli ultimi anni (nel 2007 era a 87 mila barili al giorno), anche a causa delle ultime disposizioni contrattuali sfavorevoli per i blocchi operati sul territorio.
Dagli anni ’70 sono inoltre presenti in Libia l’austriaca Omv, con una produzione che oggi ammonta a circa 33.000 barili al giorno, e la spagnola Repsol, che conta diritti su 15 blocchi, di cui 9 attivi (8 in fase di esplorazione e 1 di produzione), per un output di 34.700 barili al giorno. Prima di sospendere le operazioni per le rivolte, anche le britanniche Royal Dutch Shell e Bp stavano avviando attività di esplorazione nel Paese.
La paura più grande adesso per le big del petrolio è che in caso di vittoria di Muammar Gheddafi, la Libia potrebbe imporre la nazionalizzazione: “Abbiamo perso una parte della nostra produzione. Ma al di là dell’impatto immediato, la nostra preoccupazione più grande è cosa accadrà al lavoro di esplorazione, poiché è quello che dà un futuro”, spiega un dirigente anonimo al Finacial Times.