ROMA – Una tassa sulla casa equa e solidale? Non proprio sulla casa, ma sul suo “plusvalore”, cioè sulla rendita e non sulla proprietà immobiliare. Funzionerebbe così: hai comprato casa venti anni fa a cento e oggi quella casa vale duecento. Sul “cento” di differenza paghi una tassa, mediamente il dieci per cento. Se una casa l’hai comprata l’anno scorso e vale quello che valeva prima, allora non paghi nulla. E perché questa tassa? Perché con il gettito di questa tassa si dimezza il debito pubblico italiano. Tu dici: e che è mio il debito pubblico italiano? Di fatto sì, lo paghi tu in quanto contribuente. Se dimezzi il debito, dimezzi anche gli interessi che lo Stato paga sul debito, attualmente 80 miliardi di euro l’anno.
Metà debito, metà interessi: lo Stato paga quaranta e si ritrova con quaranta miliardi di euro in più. Quelli che servono per abbassare le tasse su impresa e lavoro e, soprattutto, per creare lavoro. La tassa che così sarebbe equa, solidale, utile e risolutiva il proprietario di casa potrebbe pagarla a rate o quando l’immobile sarà venduto. O pagarla subito con lo sconto. L’importante è trasferire il conto e il peso di una metà del debito pubblico sulla ricchezza accumulata dai privati, privati che hanno goduto per decenni della renitenza dello Stato, cioè del pubblico, a tassare l’uso immobiliare delle aree urbane accumulando così deficit e debito mentre la rendita cresceva. La proposta e avanzata da Pellegrino Capaldo sulle pagine del Corriere della Sera. Capaldo è ordinario di economia alla Sapienza e soprattutto ha ricoperto molti incarichi in campo economico e finanziario.
Vi chiediamo allora: come vi sembra una tassa sulla rendita immobiliare e non sulla proprietà della casa?
Ecco alcuni modi per definirla:
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