ROMA – Punita dai mercati, al centro dell’attacco speculativo, reietta come Grecia, Spagna, Portogallo, l’Italia è davvero messa così male? Mario Monti dalla Russia giura che la colpa non è nostra, tutti gli indicatori economici dicono che i fondamentali economici giustificherebbero al massimo 200 punti di differenziale tra Btp e bund tedesco e non gli assurdi 500 che ci costringono a strangolarci solo per ripagare gli interessi sul debito. Certo, il debito pubblico è quello che è, ma la direzione presa è quella giusta, virtuosa: come mai il Belgio che è messo come noi, ha un deficit di bilancio maggiore, ha anche rendimenti dei titoli di Stato prossimi allo zero contro il nostro 6%? Ieri addirittura al 6,3%, lo 0,1% in più dell’Irlanda, la stessa Irlanda che sta appena cominciando a risollevarsi grazie agli aiuti internazionali, cui parecchi investitori stanno scommettendo di affidare pure noi.
“Why always me”, ricordate la maglietta di Balotelli con la sua squadra inglese: stiamo in Italia un po’ in quello strano mood, in cui la genuina delusione per non veder riconosciuti i nostri sforzi si mischia a una certa propensione ad atteggiarsi a vittime di chissà quale complotto. Ragioni per cui lo spread non accenna a diminuire ce ne sono tante, ma la più importante, quella che lega le nazioni sotto attacco, è che sono almeno dieci anni che stiamo fermi, immobili. Per esempio nel produrre ricchezza. Il club dei Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) non ha sfruttato la chance euro, per ragioni diverse sono praticamente al punto di partenza.
Uno studio della Conference Board, la lobby dei produttori americani (riportato dal Financial Times e citato dal Corriere della Sera) fa il punto di questo blocco, di questa incapacità a crescere. Nel 2011 il Pil pro-capite italiano era di 32 mila dollari, lo stesso del 1999. Nello stesso arco di tempo quello di un portoghese è rimasto a 22 mila dollari. In Spagna è salito da 30 mila dollari del 2000 a 33 mila all’epoca del suo effimero boom prima di tornare ai 30 mila attuali. Così in Grecia, così in Irlanda. Il confronto con la Germania è impietoso: da 33 mila dollari è arrivata alla soglia dei 40 mila. Italia e Portogallo sono rimaste ferme al palo, non c’è stato verso di alimentare la ricchezza. Le altre stanno subendo gli effetti gli effetti delle “bolle” immobiliari, bancarie, ecc…
Di questi Paesi, l’Irlanda ha le prospettive maggiori di crescita, nonostante parta da una situazione di profonda crisi. Anche noi dovremmo vedere la luce in fondo al tunnel visto il deficit pubblico più basso di tutti, e la crescita minore del debito. Ma siamo ancora in recessione e ci rimarremo anche il prossimo anno: le ricadute sulla produttività delle riforme introdotte hanno bisogno di tempo per manifestarsi. Quando la tendenza sarà consolidata i mercati torneranno a credere in noi: surrettiziamente, i mercati spingono perché la cura Monti abbia un orizzonte più ampio del 2013.
Se si compara l’analisi dei rendimenti dei titoli di Stato e gli equilibri dei bilanci commerciali, gli analisti trovano una relazione fra i due fattori dalla quale non si scappa. E’ il movimento dei capitali che determina affidabilità e repulsione: quando il flusso è maggiore del deflusso, cioè quando la quota di investimenti dall’estero supera la fuoriuscita di capitali, allora i mercati obbligazionari ti premiano.