
Il futuro della Fiat sembra si giochi negli Stati Uniti. L’amministratore delegato Sergio Marchionne è pronto alla scelta ardita per la sopravvivenza del Lingotto dopo aver abbandonato il contratto dei metalmeccanici. Della svolta con Chrysler parlerà l’ad a New York insieme alla leader di Confindustria Emma Marcegaglia.
Nella partita americana per il Lingotto gli interlocutori saranno l’amministrazione Obama, il sindacato dei metalmeccanici United Auto Workers (uaw) e Wall Street. Quindi le prospettive di Mirafiori e Pomigliano si giocano oltreoceano. I democratici Usa hanno bisogno di rialzarsi dalla crisi del mercato auto: se le vendite mondiali tra il 2008 e il 2009 sono scese di dieci milioni di auto, bisogna fare fronte al gigante cinese.
Da una parte gli Usa hanno deciso di investire sull’auto elettrica con General Motors (Volt) e Tesla, dall’altra sta stringendo con i sindacati che hanno dovuto accettare per i nuovi assunti a Detroit 14 dollari l’ora, la metà del salario.
Poi c’è il fronte italiano, quello di Fiat Auto che ha per ora il 20% della Chrysler. Nel 2011 dovrebbe avere un altro pezzetto, pari al 15%, fino a raggiungere l’obiettivo51%. Prima però Chrysler deve risolvere la situazione debiti con il governo Usa e quello canadese all’epoca della bancarotta.
Per Marchionne invece la grana da affrontare è il sindacato Uaw che ha il 68% delle azioni ordinarie Chrysler. Già gli operai si sono visti ridurre lo stipendio, dimezzato, nonché tagliare pesantemente pensione e assistenza sanitaria.
L’amministratore delegato, come scrive l’Economist “è sicuro che valga la pena di correre tutti i rischi connessi con la fusione con Chrysler e di rientrare nel mercato statunitense. Questa scelta possa rivelarsi per la Fiat un’ancora di salvezza per salvarsi da se stessa e dall’Italia”.
E qualche giorno fa, prima dell’incontro su Mirafiori, la leader della Cgil Susanna Camusso aveva detto: “Temo che la Fiat stia spostando la sua testa e i suoi processi decisionali in Usa. La questione Fiat è figlia di un’assenza della politica industriale del governo ma anche di scelte precise da parte del Lingotto. Non si fa una politica aziendale perché questo darebbe degli spazi di contrattazione e di iniziativa: temo che il processo vero che è in corso è che la Fiat sta spostando le sue iniziative negli Usa e non più in Italia”.