Secondo l’Authority per l’Energia “nel solo 2008 il Governo ha sborsato 1.230 milioni in certificati verdi – pagati grazie all’addizionale sulle nostre bollette – e che la metà di questa somma è stata tirata fuori per rimborsare un «eccesso dell’offerta»”. Cirillo prova a tradurre: “Ecco cosa vuol dire: che si produce più energia di quella che si vuole immettere o si riesce a immettere e che questo surplus viene comunque pagato. E ovviamente le nostre bollette restano le più care d’Europa. Ci sono studi recenti anche sui posti di lavoro, ventottomila nell’eolico nel solo 2008. Considerando che i sussidi erogati sono stati pari a 2,3 miliardi di euro ogni posto di lavoro creato è costato 55mila. Un altro calcolo: comprendendo tutte le energie rinnovabili- quindi anche il fotovoltaico, si calcola che un nuovo posto di lavoro venga a costare almeno sette volte di più rispetto all’industria. C’e da rimanerci seppelliti sotto questa valanga di cifre. Se non ci fosse da rimettere insieme, ancora, alcune tessere del mosaico. A cominciare dagli incentivi sulla produzione di energia, garantiti per quindici lunghi anni come le pale e i più alto d’Europa come come le bollette. Partiamo dal fatto che un kilowatt di energia al povero cittadino costa oggi 6,5 centesimi. Ebbene, chi produce eolico ne intasca intorno al doppio – dipende dai valori un poco oscillanti della Borsa elettrica- e chi invece si butta sul fotovoltaico, che poi è la vera nuova inesplorata – può arrivare a cinque sei volte il valore iniziale, intorno ai 39-40 centesimi di euro. Il nostro Governo, in estate, ha approvato le linee guida di questo settore”.
Il “business” si intreccia poi con la politica, che si dovrebbe occupare della sua regolamentazione: “Ma perché il Far West dell’eolico conosca uno stop, ci vogliono almeno i piani regionali, tutti ancora da approvare, attesi con un eccesso di ottimismo entro la fine dell’anno. Per ora, chi si alza per primo mette la pala. Per sfuggire persino alla Valutazione di impatto ambientale, tedeschi, spagnoli e americani hanno già scoperto il trucco: spaccano un progetto di parco eolico in quattro-cinque spezzoni, scendono sotto la soglia prevista, e così se la cavano con una semplice, unilaterale Dichiarazione di impatto ambientale al comune che li ospita. Non c’è piano regolatore da rispettare, c’è solo da avvicinare il famoso “sviluppatore” in loco, che ha già scelto l’area, ha già valutato i vincoli paesaggistici e soprattutto ha già contattato gli amministratori locali. E comincia così il valzer del terreni scelti, quello sì, questo no, per distese infinite come solo il nostro Appennino regala. Ma la gente si ribella. Contro i parchi eolici spuntano comitati a ogni piazza, a ogni tavolino di bar, a Nardò, a Mazara, a Cosenza, a Crotone, a Otranto. E con i comitati spuntano le inchieste delle magistratura. A parte quella famosa aperta in Sardegna – quella di Flavio Carboni, per intenderci – è tutto un fiorire di nuovi fascicoli: ancora a Crotone, a Sant’Agata di Puglia, in Molise, a Trapani, dove allo “sviluppatore” Vito Nicastri, re del vento di Sicilia e Calabria e ritenuto longa manus del boss Matteo Messina Denaro, hanno sequestrato un patrimonio di 1.5 miliardi. E’ un mare di sporco che avanza, non se ne vede la fine”.