ROMA – Nella storia ufficiale c’è un primo Aldo Moro e un secondo Aldo Moro. Il primo, è il presidente del Consiglio e poi presidente della Dc vissuto fino al 16 marzo 1978. Il secondo, è il “grande statista” dei giorni del sequestro: i 55 giorni vissuti nel covo delle Br, la “prigione del popolo”, dal 16 marzo al 9 maggio quando poi venne ucciso e fatto ritrovare in via Caetani.
La parte più misteriosa della vita di Moro riguarda ovviamente il sequestro: in quei giorni la stampa e la Dc presero a chiamarlo il “grande statista”, come se già fosse morto. Come se non lo riconoscessero più: nelle lettere dalla prigione (tantissime, indirizzate alla famiglia e ai compagni di partito) Moro chiedeva in sostanza di aprire la trattativa con le Brigate rosse per la sua liberazione. La Dc mostra da subito invece una compatta intransigenza: al ricatto non si cede.
Delle lettere, via via più accorate, si sa quasi tutto. Gli scritti finora più misteriosi riguardano invece il memoriale scritto dal presidente nei giorni della prigionia. Lo aveva scritto per rispondere agli interrogatori dei brigatisti. Uscito “a rate”, ora lo studio filologico di quelle carte è stato completato da Miguel Gotor. Un documento di centinaia di pagine, prima manoscritto, poi fotocopiato, infine battuto a macchina e diffuso in parte dalle stesse Br.
Su queste pagine, come sulle lettere, gli interrogativi di sempre: è stato davvero Moro a scrivere? E anche se la grafia è la sua, non potrebbe aver scritto sotto dettatura dei suoi carcerieri? Tant’è, supposizioni a parte, le carte sono uscite in diverse tranche. La prima, già nel ’78, da parte dei brigatisti. Riguardava in particolare Paolo Emilio Taviani, politico Dc tra i fondatori della Gladio, rivelazioni uscite nel periodo in cui ancora poco si sapeva dell’organizzazione creata dalla Nato per respingere il comunismo nell’Europa occidentale negli anni della Guerra Fredda. La seconda parte del memoriale venne trovata dagli uomini di Carlo Alberto Dalla Chiesa nell’ottobre ’78. La terza, durante lavori nell’ex covo Br in via Monte Nevoso, a Milano, da parte di un operaio.
Ora questo materiale è stato raccolto in Il memoriale della Repubblica (Einaudi, pp. 624, 25 euro), in cui Gotor confronta gli scritti con articoli di giornale, relazioni parlamentari, documenti giudiziari. Il risultato getta una luce inquietante su quegli anni, con documenti ancora oggi censurati perché indicibili. Scrive il Corriere della Sera:
“Accertando che sul memoriale hanno lavorato due mani censorie, autonome l’una dall’altra. Ad esempio, il materiale che il gruppo antiterrorismo di Dalla Chiesa consegna al governo nel ’78 non è integro: una parte dei dattiloscritti è trattenuta e fatta sparire e intanto viene pilotata una fuga di notizie che costringerà l’esecutivo a rendere pubblico ciò che gli è arrivato. Questo fanno i primi censori, mentre altri senza nome (funzionari dei servizi) nei medesimi giorni si preoccupano di selezionare le pagine, riordinarle secondo una sequenza particolare (successiva, sotto un profilo logico e pratico, a ciò che era affiorato il 1° ottobre ’78), nasconderle nella famosa intercapedine in attesa che venga il momento in cui potranno essere «scoperte». Cioè dopo la caduta del muro di Berlino (’89). Conclusioni alle quali lo storico giunge dopo aver verificato le testimonianze di alcuni «lettori precoci», che dimostrano di aver letto il documento prima del ritrovamento ufficiale. Persone che a volte muoiono misteriosamente (la scia di sangue parte da Mino Pecorelli, distillatore di pericolose anticipazioni sul suo giornale, «Op»). O persone che raccontano cose delle quali non c’è traccia nel fascicolo Moro, e che non potrebbero essere conosciute. Ciò che induce Gotor a ipotizzare, con salde ragioni, l’esistenza di quello che i filologi chiamerebbero ur-memoriale: un testo a tutt’oggi censurato, probabilmente perché contiene informazioni che rimangono insopportabili. Indicibili per sempre, perché riguardano la sicurezza nazionale”.
Segreti indicibili allora, in parte metabolizzati oggi. La strategia della tensione, le attività della Nato e della Cia in Italia, le tangenti Lockheed e Italclasse. La “fuga” dell’ex SS Herbert Kappler, fuggito dall’ospedale del Celio nel ’77 in base a un accordo con la Germania che prevedeva la libertà per il protagonista delle Fosse Ardeatine in cambio di un appoggio alla richiesta di prestito urgente.
Profeticamente Moro scriveva alla moglie Eleonora, in una delle ultime lettere: “E ora temo che tutto questo sia disperso, per ricomparire, chissà quando e come”.
