Se gli uomini della serie sono tutti inglesi e sembrano, secondo testimonianza di un critico del Guardian, appena «usciti da una rivista» patinata di moda maschile, le donne sono quasi tutte italiane. A quanto pare, la donna italiana sarebbe un prodotto locale di difficile imitazione. Come spiega Andy Harries, uno dei produttori di Zen, «le donne inglesi non possono interpretare delle donne italiane, perché c’è qualcosa di caratteristico nella forma italiana».
Oltre alle donne procaci, nel repertorio di cliché che spettano agli italiani, c’è spazio per l’assurdità . Anche l’assurdità è difatti, sempre secondo il quotidiano Guardian, una parte dell’immagine (esotica?) dell’Italia. La constatazione può diventare pretesto per considerazioni sullo stato del Belpaese. Se l’assurdità è una componente del giallo, «esiste fortunatamente un posto dove con un lavoro incessante sono stati ridisegnati – i confini dell’assurdità . Il nome di quel posto è Italia.» E continua il giornalista: «è il posto ideale per un dramma poliziesco perché non c’è bisogno di perdere tempo prezioso creando una storia di corruzione e intrighi. Sono cose che vengono da sole, nascono sul terreno, come le piazze ombrose e i palazzi in rovina».
Un film sull’Italia, anche quando regolato dagli imperituri ed universali meccanismi del giallo, è pur sempre un film sull’Italia, e dunque, in una certa misura, un esercizio di esotismo moderno, come in fondo dimostrano queste poche osservazioni. Mentre si gustano le avventure per il piccolo schermo di Aurelio Zen, discretamente accolte dalla critica, non si può che augurare successo a quei detective veramente italiani, di origine controllata e protetta, che sono stati o saranno a breve tradotti in inglese. E non sono pochi, da Giancarlo de Cataldo a Michele Guittari, passando per i più affermati, come Andrea Camilleri.