ROMA –  Il banchiere Cesare Geronzi si racconta in un libro-intervista a Massimo Mucchetti: il risultato è “Confiteor” (Feltrinelli, pp. 364, 18 euro). Parlando di sé, parla di 40 anni di storia italiana, di potere e di potenti. Una galleria di potenti italiani, a ognuno dei quali Geronzi dà un suo giudizio, le sue “pagelle”:
Mario Monti: “Un perenne Cincinnato. […] Ha riformato le pensioni, ma non l’alta burocrazia, non ha inciso sulle protezioni dei centri di potere della finanza. Non propone una organica politica industriale”.
Silvio Berlusconi: “Colazioni interminabili, battute, aneddoti, grandi scenari. Berlusconi voleva affascinare […] se ne andò con l’aria compiaciuta del grande venditore sicuro di aver incantato il proprio interlocutore […] Incantato no, ma colpito sì […] Talvolta è un grande bugiardo? Togliamo l’aggettivo grande”.
Mario Draghi: “Tanto di cappello […] ritengo che a Francoforte stia dando il meglio di sé. Straordinario. Non sbaglia un colpo. […] (non i tecnici al governo, ma lui) ha evitato scenari nefasti per l’Europa. Ed è lui che merita la riconoscenza del Paese e dell’intera Eurozona. […] Come Governatore era stato bravo […] Come direttore generale del Tesoro? Su quel periodo possiamo nutrire qualche perplessità ”.
Gianni Letta: “Uomo di valore, che viene diffusamente stimato, che rassicura, che s’impegna a dare una mano, ma che non sempre riesce a mantenere le promesse”.
Giovanni Bazoli: “L’altro banchiere di Sistema (insieme a Geronzi, ndr)”
Giulio Tremonti: “Un uomo molto capace, capace di tutto, e perciò inadatto ad assumere incarichi istituzionali come i fatti, purtroppo, hanno dimostrato […] è considerato da alcuni un “genio”. Io lo ritengo colto, assai competente nel campo suo, il diritto tributario. In campo economico, invece, ha proiezioni palingenetiche, a volte immaginifiche o millenaristiche: grandi discorsi, poveri o nulli i risultati […] Con Tremonti ho avuto relazioni sempre formalmente corrette e apparentemente leali, a volte anche cordiali. Ma che cosa potesse accadere una volta che gli avevo voltato le spalle, questo non glielo so proprio dire”.
Diego Della Valle: “Cesare Romiti chiamò Della Valle lo Scarparo […] Si è proposto come l’alfiere del Nuovo Che Avanza. Da scrivere con le maiuscole, mi raccomando. Ritiene di avere titolo per parlare, anzi per dettar legge, più di altre persone […] Della Valle ha definito me e il professor Giovanni Bazoli gli “arzilli vecchietti”. Stupito, chiesi a Nagel se poteva farlo ragionare, riportarlo nella civiltà […] Ne parlai anche con Bazoli […] Lo trovai disgustato da tanta protervia”.
Fabrizio Palenzona: “Capace, abile, il dottor Palenzona non è mai un comprimario. È un uomo che esercita vaste influenze. Tolga oggi Palenzona da Mediobanca e vedrà che resta poco […] È un uomo che, un po’ come me, non viene da magnanimi lombi. Si è fatto da sé, lavorando. È serio nelle relazioni d’affari e ha l’attitudine di vedere lontano. Per questo dovrei dire che forse gli voglio bene…”
Paolo Scaroni: “Ha grandi capacità e grandissime relazioni ad ampio spettro. Formulo la previsione che egli sarà , al verificarsi di un certo contesto postelettorale, il futuro ministro degli Esteri, sulle tracce delle visioni di Enrico Mattei…”
Gabriele Galateri: “Un piumino da cipria, un presidente di campanello”.
Alberto Nagel e Renato Pagliaro: “Inadeguati”
Paolo Mieli: “Un’eclatante delusione”.
Eugenio Scalfari: “Non ricordo di aver mai visto Scalfari con il taccuino in mano. Doveva avere una gran memoria”.
Enrico Cuccia: “È stato un grande, e tuttavia la cultura di Mediobanca, nel 1996, cominciava a non cogliere più la modernità […] Vogliamo dire che, nel suo giudizio su Berlusconi, Cuccia rivelava la radice azionista della sua cultura?”
Guido Carli: “Fece della Banca d’Italia una moderna banca centrale”.
Giulio Andreotti: “Il Presidente Andreotti è una gran persona”.
Francesco Cossiga: “Si poteva permettere di dire tutto e, talvolta, il contrario di tutto. La sua levatura morale e la sua storia gli davano un tale privilegio”.