ROMA –Calendario calvario per l’Unione Europea, un faticoso cammino tra maggio e giugno con sulle spalle la croce di elezioni forse già perse (Austria), un referendum anti Europa (Gran Bretagna), altre elezioni a loro modo disperate (Spagna), una Grecia di nuovo vicina al collasso e un intervento militare in Libia tanto obbligato quanto rischioso, anche dal punto di vista del consenso interno per i governi europei. Chi vuole Europa morta può sperare nella calda estate europea 2016.
La calda estate dell’Europa che potrebbe finire scottata. Si potrebbe sintetizzare in questa formula la stagione che il Vecchio Continente si sta apprestando a vivere e far vivere anche ai suoi vicini. Tra elezioni in Austria, Gran Bretagna e Spagna, con sullo sfondo la mai risolta crisi greca aggravata dall’emergenza profughi, e con la Libia in ebollizione, la stagione che si sta per aprire potrebbe, nel peggiore degli scenari, risolversi con un Europa dove uno stato membro barrica i confini, uno quasi membro decide di salutare tutti e un altro si dimostra incapace di stabilità politica. Se non è un ‘redde rationem’, poco ci manca.
La ‘calda’ estate si aprirà, in ordine cronologico di scadenze e appuntamenti, con le elezioni austriache. Il 22 maggio prossimo è infatti in programma il ballottaggio per le presidenziali di Vienna. Presidenziali che, al primo turno, hanno visto il crollo dei partiti tradizionali e che ora governano il Paese alpino, e il trionfo dell’estrema destra antiimmigrati di Norbert Hofer. Ad oggi tutto lascia pensare che Hofer uscirà vincitore anche dal ballottaggio, in considerazione dell’ampio vantaggio che ha sull’altro candidato espressione dei verdi. Essendo l’Austria non una repubblica presidenziale ma, come l’Italia, un Paese governato da quello che da noi si chiama Presidente del Consiglio e a Vienna Cancelliere, è vero che anche un Hofer vincente non potrebbe prendere decisioni politiche quali esse siano.
Ma è cosa nota che già prima di questo voto l’Austria ha sposato una politica di chiusura, vedi barriera al Brennero. Ed anche vero, cosa più importante, che seppur nelle elezioni presidenziali, una decisa vittoria della destra in questione avrebbe ricadute e conseguenze politiche e sul governo, forse anche prima delle elezioni per il Cancelliere in programma tra un paio d’anni. Leggi crisi di governo ed elezioni anticipate. Appena un mese dopo poi, il 23 giugno, è in calendario una scadenza elettorale forse ancor più importante per l’Ue: il referendum in Gran Bretagna sulla Brexit. Esito che, in questo caso, è davvero incerto. L’ipotesi che vincano i voti favorevoli all’uscita di Londra dall’Europa è tutt’altro che scolastica.
E questo nonostante gli appelli di Barack Obama e Hillary Clinton che non hanno fatto mistero di preferire l’opzione della non uscita del Regno Unito; e nonostante la posizione del governo di David Cameron contrario alla Brexit in virtù dell’accordo da poco siglato con Bruxelles. Non è infatti un mistero che la voglia di addio serpeggi ampiamente tra i sudditi di Elisabetta II, tanto che anche il sindaco di Londra Boris Johnson si è schierato a favore dell’uscita, seppur in virtù anche di una lotta interna al partito dei conservatori britannici di cui Cameron è leader e Johnson vorrebbe esserlo.
Poi, è notizia di ieri, il voto in Spagna in programma il 25 ed il 26 maggio. A Madrid si è infatti votato da poco, ma nonostante la vittoria dei partiti cosiddetti di protesta come Podemos, questi non sono riusciti a formare una maggioranza di governo, vista la loro incapacità di allearsi, costringendo il Re ed il Paese a tornare alla urne. Anche in questo caso, come nel caso inglese, l’esito dell’elezione è una vera e propria scommessa che nessuno sa dire come andrà a finire. E anzi non è nemmeno detto che vada a finire in quella data perché, per quanto improbabile, nulla esclude che dalle urne esca una nuova situazione di stallo. Simile per alcuni versi a quella realizzatasi in Italia dopo le ultime elezioni politiche e risoltasi poi con l’alleanza PdFi.
Tre appuntamenti con le urne in pochi giorni che arrivano, se questi non fossero abbastanza per tratteggiare i contorni di un’estate a dir poco complessa per l’Ue, con sullo sfondo la questione greca e quella libica. Atene, come i lettori più attenti avranno notato, sta tornando a trovar spazio nelle cronache perché sta tornando d’attualità la sua crisi economica. Con in più la novità per cui Fondo Monetario Internazionale e Berlino non sembrano più essere tanto concordi sulla soluzione austerità. Il tutto aggravato e appesantito da un’emergenza migranti di cui, dopo l’Italia, è ora la Grecia a reggere il maggior peso, economico e sociale. Dulcis in fundo la Libia. Il premier Fayez Al Sarraj, premier a metà visto il Paese tutt’altro che pacificato, ha giusto un paio di giorni fa chiesto l’aiuto internazionale per difendere i pozzi petroliferi oggi nel mirino dello Stato Islamico. Che prima o poi si dovesse mettere il fatidico scarpone in terra libica è cosa nota ai governi di mezzo mondo e d’Europa da tempo, ma la richiesta d’aiuto di Tripoli, sommata all’emergenza migranti che per la Libia passa e alla questione terrorismo, sta avvicinando a grandissimi passi la scadenza. Che Europa avremo a settembre, è un rebus che nessuno oggi è in grado di risolvere.