TREVISO – Nord Est Italia si fa il muro. Per ora a pezzetti: un muro di cinta a Pordenone, un altro vicino Milano, qualcosa del genere a Padova, l’ultimo a Treviso Muri. Muri di cinta che racchiudono un quartiere e lo rendono per questo, per il muro, immobiliarmente più appetibile. Casa con terrazza, cantina e…muro di cinta intorno al quartiere: crescono le quotazioni e i cantieri.
Muri sempre più alti e muri ovunque. E’, o almeno sembra essere questa l’ossessione di questo decennio. Dalle migliaia di chilometri che vuole edificare Donald Trump al confine col Messico a quello costruito dagli Israeliani per tenere lontani i palestinesi sino a quelli, più piccoli ma non meno invalicabili, che stanno comparendo intorno ai quartieri-bunker in via di costruzione nel Nord Italia. Muri che servono a tenere fuori qualcuno, qualcuno che vuole entrare a casa nostra per rubare qualcosa di nostro; e poca differenza fa se la casa è quella comune come il Paese e quello che temiamo ci venga sottratto il lavoro, o se si tratta invece più semplicemente dell’abitazione e dei risparmi o dei gioielli da portar via. A ragione o no, ci sentiamo insicuri. E quindi costruiamo barriere e muri.
Dopo che il secolo e il millennio precedenti si erano conclusi con la caduta del Muro per eccellenza, quello di Berlino che venendo giù pose fine a quello che lo storico Eric Hobsbawm aveva definito ‘il secolo breve’, e dopo che con la caduta di questo si era vissuta un’epoca in cui l’animo comune spingeva per l’abbattimento delle frontiere, fisiche e non, oggi la situazione si è letteralmente ribaltata. La cosiddetta ‘gente’ non vuole più abbattere le barriere, è tornata ad avere paura e quindi voglia di protezioni che la tengano separata dal diverso, da quello che non si conosce e che per questo fa paura.
Su questa paura Trump ha vinto le elezioni americane e sulle basi di questa paura costruirà un muro che separerà gli Stati Uniti dal Messico. E su questa stessa paura sono nati, in Italia, i cosiddetti quartieri-fortino. Agglomerati di abitazioni circondate da un muro che separi il mondo interno da quello esterno. Sono nate e vanno letteralmente a ruba, segno che il mercato le chiedeva, al punto che nelle foto pubblicitarie per vendere, il muro di cinta (brutto come inevitabilmente può essere un muro), compare in bella mostra. L’ultimo ad essersi guadagnato gli onori delle cronache è il quartiere di questo tipo venuto su a Treviso.
“E’ il villaggio ‘Borgo San Martino’, difeso da un muro alto quasi tre metri – racconta Lorenzo Padovan su La Stampa -. Una zona esclusiva e inaccessibile, dove abitano prevalentemente liberi professionisti: un progetto che sarebbe stato un orgoglio all’epoca del sindaco-sceriffo Gentilini. Per ora ci sono 21 case, ma solo una è ancora acquistabile. Ai nastri di partenza un ampliamento con altre sette villette a due piani, nell’ambito di una lottizzazione che arriverà a 50 edifici complessivi. Il costo non è proibitivo: per 150 metri quadrati si parte da 320 mila euro, per giungere fino a 410 mila. Da non sottovalutare le spese di gestione, comprese quelle per la piscina comune. Per ora, niente guardie giurate, ma video-sorveglianza per ogni singolo alloggio: quando il compendio immobiliare sarà concluso, si pensa ad una figura ibrida tra portiere e vigilante”.
Una realtà e una tipologia abitativa che attrae, e attrae ormai non solo i ‘ricchi’, quelli che in casa hanno veri e propri patrimoni e quindi hanno qualcosa da temere in termini di sicurezza. Ma una realtà che attrae le famiglie. Visti i costi è evidente che per lo più gli inquilini di questi quartieri- fortezze saranno professionisti. Ma se questo è comprensibile dal punto di vista del ‘portafogli’, indica che la percezione di insicurezza e la voglia di muro ha raggiunto anche chi, nella società, ha più strumenti culturali per leggere la realtà. Treviso, come dicevamo, non è però che l’ultimo di questi quartieri ad aver suscitato l’interesse della cronaca. Spostandoci in Friuli-Venezia Giulia, un quartiere simile esiste a Pordenone.
E “rispetto a Treviso e Pordenone, Padova non è da meno, e io abito in un quartiere che era infestato di ladri, spacciatori e sbandati – scrive Ferdinando Camon sempre su La Stampa-. Sto in una galleria, cioè una strada coperta, con 150 appartamenti, una ventina di negozi, e una quarantina di garages nel sotterraneo. Nelle vicinanze della famigerata via Anelli. Spacciatori e drogati dormivano di notte nei pianerottoli, davanti ai nostri appartamenti. Noi li guardavamo attraverso quello spioncino nella porta che si chiama ‘occhio di Giuda’. Nel piano sotterraneo dei garage dormivano, mangiavano, amoreggiavano, accendevano fuochi. A un certo punto abbiamo deciso: si blinda la galleria. Alle 22, a un capo e all’altro della galleria, si alzano automaticamente due cancelli di ferro. Non si comandano dagli appartamenti. Bisogna scendere con la chiave. Alle 7, si riaprono da soli. Sicché dormiamo in un bunker”.
E poi, come ricorda il costruttore di Treviso, Remo Berno, emigrante italo-australiano: “C’è un villaggio gemello a Castelfranco Veneto, ma lì nessuno dice nulla. E nemmeno a Jesolo, dove queste lottizzazioni impenetrabili sono presenti da tempo. Ad Arese esistono addirittura dagli anni Settanta”. Italia Nostra ha accusato il Comune di Treviso di aver autorizzato una costruzione che non rispetta la normativa urbanistica. “Vanno stigmatizzate queste iniziative che si basano sul livello di percezione della sicurezza – ha detto il presidente provinciale dell’associazione ambientalista Romeo Scarpa -, non su quella reale. Siamo una cittadina di provincia, con reati in calo e criminalità sotto controllo. Cosa dovrebbero fare allora a Milano o Torino: mettere un fossato con le mitragliatrici?”. Potrebbe essere il prossimo passo.