ROMA – Otto settembre 2011, data fissata per il prossimo vertice della Bce. La Banca centrale europea dovrà decidere se e quanto continuare a comprare titoli di Stato italiani e spagnoli. Il problema non è madrid, è Roma. Da quando la Bce ha cominciato a compare Btp italiani, impedendo che i tassi di interesse richiesti su quei titoli fossero quelli di mercato, cioè intorno al 6 per cento, il governo italiano ha “mollato”. Ha cominciato a smontare e ad addolcire la manovra di Ferragosto. E ora in Germania, ma non solo in Germania, dell’Italia, della sua voglia e capacità di fare sul serio, non si fidano più. L’otto settembre a Francoforte ci sarà chi dirà di smetterla di aiutare l’Italia perché l’Italia usa l’aiuto per non fare quel che deve. Se chi sostiene questa tesi la spunterà, allora sarà un altro “otto settembre italiano”, un altro crollo della credibilità complessiva del nostro Stato. Ma, se così fosse, quella data potrebbe essere anche l’inizio della fine dell’euro: l’Italia ne verrebbe spinta ai margini, quasi fuori dalla moneta unica. E scatterebbe un gigantesco ognuno per sè e non si sa chi per tutti. I paesi con poco debito a rinchiudersi nei loro confini finanziari, gli altri a trattare con il mercato forme di “default”. Torneremo dunque tra qualche anno ad usare le lire relegando l’euro nell’album dei ricordi? Per la metà dei partecipanti al forum sull’economia di Cernobbio la risposta è sì, l’euro sparirà nell’arco dei prossimi tre anni. Ed è anche già stata individuata la data in cui “tutto ebbe inizio”, l’8 settembre 2011 appunto, giorno in cui la Bce sarà chiamata a fare una scelta che sarà comunque sbagliata e dannosa per l’euro: continuare a comprare titoli di stato italiani per difendere l’economia del nostro paese o meno.
Comunque dannosa perché continuare a sostenere l’Italia significherebbe consentire che i paesi “aiutati” svicolino, ritardino, facciano melina sul risanamento. Ma smettere di sostenerla, smettere di comprare Btp significherebbe accettare la frantumazione e poi l’esplosione della moneta unica. Trichet, il presidente uscente della Bce e Mario Draghi, il presidente entrante, insieme implorano e ammoniscono Roma: “Non date per scontato che la Bce continui a compare i titoli italiani…”. Ma Roma lo dà per certo e per scontato e fa di questo il suo alibi. E allora davvero l’otto settembre tutto può iniziare a smontarsi, euro compreso.
Solo sei mesi parlare di fine della moneta unica sarebbe stato impensabile, un’ipotesi assurda e certamente non dietro l’angolo, ma oggi l’aria è cambiata. A Cernobbio, dove ogni anno si svolge il più importante meeting economico del nostro paese a cui partecipano, oltre al gotha delle finanza nazionale, anche illustri personaggi internazionali come, ad esempio, il presidente della Bce Jean Claude Trichet, parlare di fine non è più un tabù. Anzi, il 49% dei banchieri e degli economisti presenti al forum a bordo lago, ritiene che basterà aspettare tre anni per vedere l’euro fuori corso. Un’ipotesi che, almeno nel nostro continente, nessuno si augura, almeno tra quanti sono dotati di buon senso. La fine della moneta unica sarebbe una tragedia per tutte le economie ad essa legate tanto che Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria dice: “il break up dell’euro sarebbe un dramma, non voglio nemmeno pensarci, ma sono certo che siamo ancora in tempo per evitarlo”.
Ma se Confindustria cerca di allontanare lo spettro di un ritorno alla lira, la longevità o meno dell’euro dipenderà dalle politiche economiche dei governi nazionali e dalle mosse Banca Centrale Europea. Bce che l’8 settembre prossimo sarà chiamata ad una scelta drammatica. La riunione del board della banca centrale dovrà decidere che atteggiamento tenere nei confronti dell’Italia: continuare a sostenere il nostro paese comprando titoli di stato italiani o smettere e abbandonarlo al suo destino. Due scelte probabilmente sbagliate in ogni caso. Continuare a comprare titoli italiani significa, in pratica, dimostrare che in Europa si premia chi non tiene i conti a posto invece di punirlo. Una scelta che sarebbe una tegola per l’euro e che minerebbe la credibilità delle istituzioni economiche continentali. Smettere di sostenere la nostra economia significa invece condannarci a quasi certo default, default che rischierebbe verosimilmente di estendersi anche a Francia e Germania. In altre parole la fine dell’euro.
Certo una futuribile dipartita dell’euro non sarebbe imputabile esclusivamente all’Italia, ma la scelta drammatica cui è chiamata la Bce è tutto merito del nostro Governo. Quando un mese fa lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi raggiunse i 413 punti base (ovvero il 4,13%), senza un immediato intervento della Banca centrale europea, il Governo italiano avrebbe corso il rischio di perdere l’accesso al mercato e quindi di fare default. “perdere l’accesso al mercato” vuol dire non trovare più i soldi per pagare…le pensioni, gli stipendi pubblici, la Sanità, i Comuni… tutto quello che stiamo “difendendo”. Per questo, per impedire l’Italia messa alla porta dai mercati finanziari, fu spedita la famosa lettera di Trichet a Berlusconi in cui – si dice – la Bce si impegnava ad acquistare titoli italiani in cambio di una manovra del nostro Governo che anticipasse il pareggio di bilancio al 2013 e rilanciasse la crescita.
La condizione necessaria per il successo di questo intervento, però, era la capacità del Governo italiano di approvare in tempi rapidi una manovra adeguata. Per quanto elevati, gli acquisti dei nostri titoli da parte della Bce erano solo un palliativo. E così, dopo una tregua, i tentennamenti del nostro esecutivo nel varare una riforma credibile, hanno messo nuovamente in ginocchio la nostra credibilità finanziaria, con lo spread tornato di nuovo sopra i 300 punti, fino a 350. Perfino il Wall Street Journal, uno dei pochi giornali internazionali che ha sempre mostrato un occhio di riguardo verso il nostro presidente del Consiglio, ha scritto un articolo molto critico in cui si sottolineava che le recenti proposte di Silvio Berlusconi avevano “seminato confusione sia tra i suoi alleati che tra i suoi critici”.
La speranza della Banca centrale europea era che bastasse dettare delle condizioni per indurre il Governo italiano a fare quello che avrebbe dovuto fare già dai primi di luglio. Purtroppo si è rivelata una pia illusione. Rassicurato dalla riduzione degli spread, il Governo italiano ha cominciato lentamente a fare marcia indietro. I tagli delle Province sono stati aboliti, il “contributo di solidarietà” eliminato, tutta la manovra fortemente annacquata. E ora, come detto, la Banca centrale europea si trova di fronte a una scelta difficilissima. Se vuole favorire il processo di integrazione europea, deve punire l’Italia o per lo meno il suo Governo che non ha mantenuto i patti.
Tuttavia, la Bce è consapevole che abbandonare adesso l’Italia al suo destino equivarrebbe alla fine dell’euro. Spingendo il Governo a fare il suo dovere, la Bce ne ha messo a nudo l’inaffidabilità, paradossalmente peggiorandone l’immagine. L’abbandono dell’Italia da parte della Bce porterebbe quasi inevitabilmente a un default del Paese (e quindi delle banche italiane che detengono grosse quantità di titoli pubblici). Facilmente questi default si propagherebbero alle banche francesi e tedesche, con conseguenze inimmaginabili. Difficilmente l’euro sopravvivrebbe a questo scenario.
E difficilmente quindi l’Europa abbandonerà l’Italia, tra i due mali sarà costretta a scegliere il minore, cioè aiutarci minando la propria credibilità e favorendo i furbi. Questo significherà salvare l’euro, anche se non si sa per quanto, nella speranza che il nostro Governo, con un colpo di scena a questo punto inaspettato, si dimostri in grado di confezionare una manovra credibile, efficace, buona anche per il futuro e sia anche in grado di approvarla. E’ il caso quindi di fare gli auguri alla moneta unica, ne avrà bisogno. Sperando che quella con l’otto settembre sia solo una maligna coincidenza, non è una data che rassicura quando si guarda alla storia italiana: quello del 1943 è lontano, molti forse non ricordano, ma è quando lo Stato italiano si dileguò e si disfece. E poi toccò ricominciare da capo.