ROMA ā āTrasferire competenze alle regioni come sanitĆ , educazione o i servizi sociali ha prodotto due conseguenze letali: una spesa senza controlli e la creazione di classi politiche territoriali che ricordano il feudalesimoā. Inorridiranno i leghisti a leggere le parole di Javier Zarzalejos, opinion maker spagnolo e guru del think-tank Faes dellāex premier JosĆ© Maria Aznar. Ma inorridiscono e tremano di piĆ¹ gli spagnoli leggendo i bilanci delle regioni autonome: buchi per miliardi di euro e spesa senza controllo. Ma se a Madrid sta arrivando il conto delle autonomie concesse, non molto meglio va da noi, dove diverse cittĆ sono ad un passo dal gettare la spugna. La domanda ĆØ allora questa: possono Roma e Madrid permettersi ancora questo decentramento? Scrive La Stampa:
Il “la” ĆØ partito dalla comunidad autonoma di Valencia. Ma stanno per seguirla altre sei: Catalogna, Castilla La Mancia, Baleari, Murcia, Canarie ed Andalusia. Quasi la metĆ delle regioni in cui ĆØ suddivisa la Piel de Toro, che hanno un rosso, nel 2012, di ben 140 miliardi di euro. PerĆ², nonostante il governo centrale predichi lāausterity e le obblighi questāanno a non sorpassare lā1,5% del deficit, le ācomunidades autonomasā continuano ad avere le mani bucate e sperperare i soldi dei contribuenti.
Il federalismo spagnolo, per anni fiore allāocchiello e modello per molti rivela ora tutti i suoi limiti. Insieme alla crisi bancaria sta mettendo in ginocchio il paese esponendolo agli attacchi e alle speculazioni dei mercati.
Valencia ha dovuto chiedere aiuto al Fondo de Liquidez AutĆ³nomica (Fla, 18 miliardi di euro in cassa) appena istituito, una sorta di fondo salva -Stati su scala locale, visto che nessuno le faceva piĆ¹ credito a causa del suo debito di 20,7 miliardi, pari al 19,9% del suo prodotto interno lordo. Ma anche la ricca Catalogna non ĆØ da meno: 41,7 miliardi di euro di debiti, pari al 20,7% del Pil. Nonostante questi bilanci da brividi la cosa incredibile ĆØ che gli sperperi continuano, come racconta ancora il quotidiano torinese:
āIl caso piĆ¹ clamoroso avviene proprio nella regione di Valencia. Lāaeroporto di CastellĆ³n, inaugurato nel marzo del 2011 e costato 150 milioni di euro, non ha mai visto un aereo decollare o arrivare. Eppure stanno erigendo allāentrata una colossale statua alta 24 metri, larga 8 e che pesa 33 tonnellate. Il costo? 300 mila euro. Stessa solfa a Toledo, stavolta frutto delle megalomanie socialiste dellāex esecutivo della Castilla la Mancia (in rosso con 6,5 miliardi, il 18% del Pil). Si tratta di un maxiospedale di 175 mila metri quadrati piĆ¹ giardini di 364 mila metri quadrati, pari a 37 campi di calcio. Con la pretesa di erigere il nosocomio migliore dāEuropa, hanno affidato il progetto al carissimo architetto lusitano Ćlvaro Siza, vincitore del Pritzker, il Nobel dellāArchitettura. Costo stimato 300 milioni di euroā.
Storia di Spagna ma storia anche dāItalia, nonostante da noi il federalismo non sia allāaltezza di quello madrileno. Su molti quotidiani di oggi campeggia il titolo āDieci grandi cittĆ a rischio crackā. Se in Spagna sono infatti le regioni autonome ad avere i bilanci āmuro a muroā con il fallimento, da noi il governo sta facendo i conti alle cittĆ che rischiano di arrendersi sotto il peso dei debiti.
Bilanci e rating delle regioni italiane nell’infografica di RepubblicaNapoli e Palermo nei primi posti della lista dei cattivi. Ma a seguire anche Reggio Calabria, finita in rosso giĆ nel 2007-2008 ed ora oggetto di unāinchiesta della magistratura. E poi tante altre amministrazioni, grandi e meno grandi, che potrebbero essere costrette a chiedere il ādissestoā, che significa scioglimento della consiglio, entrata in campo della Corte dei Conti e commissario prefettizio. Questo per colpa, anzi per merito di una norma inserita nella spending review, una norma che rende impraticabile un ātrucchettoā che molte amministrazioni utilizzavano per far quadrare dei bilanci altrimenti sbilanciati. La colpa ĆØ, semmai, di chi ha amministrato queste cittĆ sino ad ora.
La norma in questione impone lāāarmonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancioā svalutando del 25% i residui attivi accumulati sino ad oggi. Il punto ĆØ quello delle entrate contabilizzate ma non ancora incassate, come possono essere i proventi delle multe e le tassa sui rifiuti. Cifre importanti, che servono a fare il bilancio di un ente che spesso, per prassi, gonfia queste voci pur sapendo di non riuscire a poter incassare il 100% degli importi messi a bilancio. Incassi molto spesso tuttāaltro che sicuri che da ora non serviranno piĆ¹ a far quadrare i conti.
āTagliando di colpo i residui attivi ĆØ chiaro che i bilanci non quadrano piĆ¹ā dice Graziano DelRio, presidente dellāAnci. āServe piĆ¹ gradualitĆ per dare tempo ai sindaci che hanno utilizzato questa modalitĆ di adattarsi. PerchĆ© altrimenti anche Comuni virtuosi, come ad esempio Salerno, a questo punto sono a rischioā.
Ma giĆ prima dellāarrivo di questa novitĆ abbiamo assistito ad un boom di fallimenti dei Comuni. I dati del Viminale dicono che negli ultimi due anni si ĆØ passati da1/2 casi lāanno a 25. E il fenomeno, oltre a crescere numericamente, ha raggiunto zone come il centro nord finora vergini.
Appare evidente quindi che lāItalia come la Spagna non possano permettersi questo decentramento che crea āspese senza controlli e una classe politica locale che ricorda il feudalesimoā. E non se lo possono permettere non per motivi politici o ideologici, non perchĆ© uno stato centrale forte sia certamente migliore rispetto ad uno con un forte decentramento, ma perchĆ© le autonomie costano. Costano per gli stipendi in piĆ¹ che pagano, costano per le spese folli e apparentemente prive di logica, costano, costano e costano. E i soldi ormai non ci sono piĆ¹.