Le scosse invisibili che arriveranno al tuo ospedale, supermercato, negozio

Un capannone crollato a Medolla (LaPresse)

MODENA – La terra in Emilia ha smesso, si spera, di tremare. Ma le conseguenze del terremoto sono tutt’altro che esaurite. Le scosse devono ancora far sentire le loro conseguenze negli ospedali, nei supermercati, negli autosaloni, nei negozi d’arredamento. Non solo i morti, non solo i palazzi crollati, non solo i capannoni distrutti e le opere d’arte andate perdute. L’onda lunga del terremoto si deve ancora far sentire. E si farà sentire da tutti gli italiani e dall’economia del Paese con una sorta di tsunami economico.Tsunami dall’onda alta e lunga perché non ci sono solo i danni da riparare e le perdite da ripianare. Purtroppo nelle zone colpite dal terremoto si sono spezzate “filiere” produttive che sarà arduo ricomporre. Ospedali e strutture sanitarie attenderanno senza garanzie di riceverne strumenti per la dialisi e per le terapie cardiache. La catena dell’alimentare presenta il vuoto, il buco del parmigiano e dell’aceto balsamico, spezzata è la filiera della ceramica per l’edilizia e della componentistica per auto.

“Mirandola, biomedicale raso al suolo. Finale Emilia, crolla la ceramica. A Medolla si sgretola l’alimentare. Cavezzo, piegata la meccanica. Carpi, il tessile ha chiuso i cancelli”. Sono questi, in fila, i titoli della pagine che vanno dalla 3 alla 7 del Sole 24 Ore. Titoli che raccontano e preannunciano quello che tra poco accadrà. La zona colpita dal terremoto produceva circa l’1% del Pil nazionale e rappresentava il fiore all’occhiello del nostro Paese per diverse produzioni d’eccellenza. Ora questa zona è in ginocchio, la produzione industriale è ferma e non siamo al momento nemmeno in grado di stimare quando potrà riprendere. Le prime cifre parlano di un miliardo di danni, ma “l’indotto” dei danni non è calcolabile.

“Non meno di quindicimila lavoratori in cassa integrazione, centinaia di piccole aziende chiuse, danni che rischiano di superare il miliardo di euro. Un’economia di qualità – da quella del biomedicale nel basso modenese a quella del Parmigiano – in ginocchio, costretta a ripensare il proprio futuro, a ridisegnare il proprio profilo. Con effetti devastanti anche per l’economia nazionale perché questa zona produce (o produceva) un punto del Pil italiano, più o meno 16 miliardi di euro. Da qui arrivano all’erario tre miliardi di euro l’anno. Il terremoto abbassa così le nostre prospettive di crescita. Un disastro, pure economico”, scrive Repubblica.

Con i crolli di Mirandola è crollata una parte fondamentale della filiera sanitaria. Come racconta Stefano Raimondi, presidente di Assobiomedica, al quotidiano diretto da Ezio Mauro: “La prima emergenza è ora quella di garantire ai 45 mila dializzati italiani i prodotti e macchinari per la loro sopravvivenza”. L’azienda di cui Raimondi è socio, la Bellco, produceva apparecchiature e macchinari per la dialisi. Azienda distrutta e magazzini inagibili, con conseguente impossibilità di evadere le commesse e rifornire ospedali e presidi medici. Raimondi ha chiesto al governo di costituire una task force per affrontare il problema, e la soluzione sarà probabilmente quella di ricorrere all’importazione, con evidente aggravio economico per la sanità pubblica (cioè per tutti i contribuenti).

Potrà sembrare meno importante rispetto alle forniture mediche, ma sono quasi un milione le forme di parmigiano danneggiate dal sisma. Sembra, ma non è meno importante. Quelle forme di parmigiano rappresentano il 10% dell’intera produzione annua e, cosa ancor più grave, erano spesso usate dalle aziende come garanzia per ottenere prestiti e crediti. Garanzie che ora non esistono più e aziende costrette a fare i conti con i danni materiali alle strutture oltre a quelli economici. E danni che si faranno sentire anche sul costo finale dei prodotti che le aziende in questione producevano, cioè sul costo che tutti i consumatori pagano quando fanno la spesa. “Solo nella Bassa Modenese – nota Ivano Gualerzi, segretario degli alimentaristi della Cgil – si trovano duecento aziende e 3.500 addetti. Ora, in tutta la regione sono a rischio più di 2.500 posti di lavoro”. Alcune organizzazioni hanno provato a fare di nuovo i conti. La Coldiretti ha stimato in 500 milioni i danni all’agrindustria.

E poi la meccanica di casa a Cavezzo, dove hanno sede piccole multinazionali che riforniscono tutto il mondo e non solo il nostro Paese. O il tessile che caratterizza Carpi. “Il terremoto è arrivato nel momento peggiore – racconta al Sole 24 Ore Fabrizio Gavioli, titolare della Open Agency, che stampa pubblicità e brochure per la grandi griffe del distretto -. Questo è il periodo della chiusura dei campionari e della presentazione delle nuove collezioni. Se la produzione si ferma adesso, il danno potrebbe essere incalcolabile”. Nel distretto ci sono 1.280 imprese. Una ventina di loro sono marchi conosciuti in tutto il mondo e da soli fanno il 54% del fatturato dell’intera filiera di Carpi.

E poi la ceramica, la Ferrari, la Lamborghini e la Ducati ferme. In alcuni casi danni limitati che non si ripercuoteranno oltremodo. Ma le scosse di questo terremoto in Emilia le sentiremo tutti, a Roma come a Palermo, a Bari come a Trieste, è solo questione di tempo.

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