Ignazio Marino: ha stravinto le primarie del centrosinistra con 50 mila preferenze su 100 mila votanti. Poi, un po’ come è successo a Bersani, si è seduto. Fino a qualche mese fa si pensava che qualunque candidato espresso dalla coalizione guidata dal Pd avrebbe sbaragliato a mani basse la concorrenza. Ma i problemi nazionali hanno enfatizzato quelli locali, dove si è faticato molto a trovare un nome forte e si è finiti per andare alla conta interna con sei candidati. È arrivato primo il nome più pesante a livello nazionale, quello di Marino. Ma il chirurgo, già candidato alle primarie pd del 2009 contro Bersani e Franceschini, è partito ad handicap per tre fattori.
Il primo è la sua non romanità. Marino, mamma svizzera e papà siciliano, infanzia a Genova, università a Roma, carriera in America, è praticamente un apolide. Roma è città complessa e peculiare, non ama “importare” da oltre il Gra la sua classe dirigente. Ha sempre guardato con sospetto Alemanno, cresciuto a Bari da padre salentino.
Il secondo è il momento difficilissimo del Pd, iniziato subito dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio e continuato fino ad oggi. Quello che fino a pochi mesi fa era traino adesso è zavorra. Per questo Pd è stata una parola tabù in tutta la campagna elettorale di Marino. Si trovano in giro per Roma manifesti con slogan che strizzano l’occhio al grillismo come “Non è politica. È Roma“. Ma stiamo sempre parlando del primo partito della Capitale, radicatissimo sul territorio: non si può vincere senza o addirittura contro il Pd. La base discute, i maggiorenti mugugnano, chi stava con David Sassoli o Paolo Gentiloni osserva con malcelata soddisfazione le sue gaffe, come quando si incarta sulla durata di un suo eventuale mandato: “Cinque anni e poi basta, mi stufo”… Anzi no: “Se i romani vorranno resto 10 anni”.
L’ultimo handicap è il trovarsi in mezzo nella tenaglia fra le due anime della sinistra. Quelle che si sono divise sulla votazione per il presidente della repubblica, sul governo col Pdl, sulla manifestazione della Fiom e sul referendum a Bologna sui soldi agli asili privati. Marino, big del Pd, rappresenta molto di più quello che si muove fuori dal Pd: Sel, Rivoluzione Civile, pezzi di M5S, Fiom, ambientalisti… Una sua vittoria non verrebbe vista come una vittoria del Partito democratico (come successe nel maggio-giugno 2011 con i sindaci “arancioni” e il referendum su nucleare e acqua pubblica). Una sua sconfitta verrebbe interpretata come un altro sintomo delle difficoltà del centrosinistra.
Il punto a favore di Marino è che il suo profilo da “cittadino” vampirizza il voto grillino e dovrebbe neutralizzare il candidato M5S, Marcello De Vito. Sul fianco sinistro forse non basteranno Sel e candidature dai movimenti come “Tarzan” Andrea Alzetta per arginare la fuga di voti, al primo turno, in direzione di Sandro Medici.
Marino, ieri favorito, oggi è a testa a testa con Alemanno. Quasi impossibile che vinca al primo turno, non impossibile che perda al ballottaggio.
MARCELLO DE VITO. Sessanta giorni fa sembrava che per diventare sindaco a De Vito sarebbero bastati i 533 voti con i quali ha vinto nettamente le primarie del Movimento 5 Stelle, “sbaragliando” gli altri 11 candidati. Tutti pensavano che il grillino doveva arrivare al ballottaggio, poi era fatta: se la sfida sarebbe stata con Marino, gli elettori di Alemanno avrebbero votato per lui e contro il candidato del Pd; se avesse dovuto vedersela con Alemanno, gli elettori di centrosinistra avrebbero dirottato il loro voto sull’aspirante sindaco a 5 stelle.
Ma difficilmente De Vito, avvocato di 38 anni “romano de’ Roma” autodefinitosi “esperto nel settore degli appalti pubblici”, regalerà sorprese. Vuoi per l’inconsistenza della sua candidatura ad amministrare una caotica metropoli di tre milioni di abitanti, vuoi per la debolezza dei grillini nelle elezioni amministrative (le ultime regionali in Friuli la conferma, Parma l’eccezione), vuoi per Marino e Marchini, due figure molto “attraenti” per il potenziale elettorato M5S.
Difficile sperare nel miracolo, quindi, al termine di una campagna condotta sottotono, con un Grillo distante e un Movimento preso dalla diaria, dall’isolamento, dal calo nei sondaggi.
Sotto il 10% sarà flop, sopra il 20% sarà un successo. Poi la vera sorpresa potrebbe venire dalle due settimane precedenti il ballottaggio, quando De Vito potrebbe decidere di rompere l’isolamento e apparentarsi con Marino.
Continua con: Alfio Marchini e Sandro Medici