Massimo D’Alema (Roma, 20 aprile 1949) detto Baffino, Baffetto, Conte Max, Lider Maximo. Figlio di Giuseppe D’Alema, partigiano e deputato Pci dal 1963 al 1983, di pugliese ha solo la moglie Linda Giuva e il collegio elettorale. In realtà i D’Alema sono lucani. Leggenda vuole che a soli 9 anni tenne un discorso a un comizio del Pci, davanti a un estasiato Palmiro Togliatti. Frequenta la Normale di Pisa ma a un passo dalla laurea lascia gli studi. Nel 1975 è nominato segretario della Fgci (i giovani comunisti), nel 1983 entra nella direzione del Pci, nel 1987 viene eletto alla Camera, nel 1988, fino al ’90, dirige l’Unità. Per anni lui e Achille Occhetto sono i dioscuri del “nuovo” Pci. La coppia regge la svolta della Bolognina, ma non la sconfitta alle elezioni del 1994. D’Alema succede (battendo Walter Veltroni) al dimissionario Occhetto alla guida del Pds, pilotando il partito verso un’alleanza con le forze cattoliche di centro dalla quale nascerà l’Ulivo e la candidatura di Romano Prodi, vittorioso alle elezioni del 1996.
Eletto coi voti di Forza Italia presidente della Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, sigla con Berlusconi il “patto della crostata” (cucinata dalla moglie di Gianni Letta). Non pago cucina un risotto durante Porta a Porta di Bruno Vespa. Gli si ritorce contro il neologismo “Inciucio”, che lui per primo – intervistato nel ’95 da Mino Fuccillo – aveva introdotto nel gergo politico. Ottiene di rianimare e legittimare politicamente il cadavere di Berlusconi, venendone in cambio pugnalato quando il Cavaliere fa saltare la Bicamerale. È il maggio 1998. Nei cinema proiettano Aprile di Nanni Moretti, quello della celeberrima battuta: “D’Alema, dì una cosa di sinistra, dì qualcosa…” Qualche mese dopo “baffino” diventa il primo comunista presidente del Consiglio, ma verrà sempre accusato di aver complottato con Cossiga per far saltare il governo Prodi. Un’altra cosa che la sinistra non gli perdonerà mai sono i bombardamenti sulla Serbia del 1999: dalle basi italiane, sotto il governo di un’ex comunista, partiranno i cacciabombardieri Nato in direzione Belgrado. Dopo la sconfitta del centrosinistra alle amministrative del 2000, passa la mano a Giuliano Amato.
Sei anni più tardi è ministro degli Esteri nel secondo governo Prodi. Si fa fotografare a spasso con gli Hezbollah in Libano, dove l’Italia guida un’operazione di pace. Caduto anche il Prodi II, D’Alema si rifugia nell’attività della sua ricchissima fondazione, Italianieuropei. Eletto nel 2010 presidente del Copasir, dopo il tramonto del “nemico” Veltroni, ne trova uno nuovo: Matteo Renzi, che lo usa nei suoi comizi come esempio di una politica da rottamare. D’Alema ricambia con un florilegio di battute al vetriolo. Tra i due il clima – complice la debacle di Bersani – si è rasserenato. Si sono incontrati qualche giorno fa, forse sperando di essere il futuro presidente della Repubblica che parlava col futuro presidente del Consiglio. D’Alema in realtà in questo momento appare come il nome di riserva che metterebbe d’accordo Pd e Pdl dalla quarta votazione in poi.
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