Esce un po’ curva dal grande palazzo di giustizia nero nelle sue grandi facciate, bianco nei marmi gelidi delle aule dove l’hanno appena condannata a 5 anni di carcere, nel processo di primo grado per la morte di sei vittime dell’alluvione nel novembre del 2011, tra cui tre bambini e per avere falsificato un verbale su quella immane tragedia.
Esce un po’ piegata, quasi rattrappita nel suo mantello, Marta Vincenzi, la signora sindaco che ha governato Genova dal 2007 al 2012, ex comunista fervente, oggi 69 anni, una vita nella scuola da prof e da preside, prima della politica, lei che paga per non avere fatto chiudere le scuole nel giorno della tregenda alluvionale, quel maledetto 4 novembre 2011, quando straripò il rio Fereggiano, nel cuore della Genova popolare, spezzando sei vite in un gorgo marrone di detriti, automobili trascinate via, sottopassi e cantine invasi dall’acqua putrida di un affluente del vecchio killer dei fiumi genovesi, il Bisagno.
“Mi sento innocente”, dice Vincenzi, che sembra invecchiata di venti anni, passata da una leadership della città sfavillante e politicamente molto vivace, già presidente di Provincia, eurodeputata nel Nord Ovest, postcomunista in perenne movimento. “Mi sento innocente”, ripete anche il giorno in cui, dopo la stangata della condanna, che la accomuna all’assessore Francesco Scidone e a tre dirigenti comunali, al carico del verdetto si aggiunge la richiesta di danni da pagare ai parenti delle vittima, 4,4 milioni di euro e l’ufficiale giudiziario bussa alla sua porta per sequestrarle la casa e un pezzo della pensione.
“Quali sono i confini della responsabilità per un sindaco che deve rispondere della Protezione Civile della sua città?”, chiede questa signora piegata, ma non spezzata, da un processo che è uscito da quel fango di sei anni fa e che dura ininterrottamente come uno stillicidio quotidiano, un fiume di udienze, perizie, interrogatori, un fiume di testimoni, di esperti, di metereologi, di passi procedurali, di ricostruzioni, in mezzo a quel fango, dopo il fiume vero, che se lo vai a vedere oggi è un rigagnolo secco, incassato nelle case del quartiere semiperiferico, con quelle salite genovesi improvvise sulla collina rosicchiata da un cemento costruito in quaranta anni di deregulation selvaggia, senza limiti, le case di cemento sul bordo del rio, perfino dentro il rio, una sull’altra e le strade strette di curve a gomito e il greto che ti devi sporgere per vederlo dal parapetto, oltre le macchine posteggiate ovunque, che non c’è spazio per niente, il bus giallo che fa manovra per salire.
Dove eri sindaco Vincenzi quel giorno che la bomba d’acqua incominciò a bombardare questo pezzo della Genova vulnerabile e squassata già da tante alluvioni, dove eri alle dieci, alle undici, a mezzogiorno di quel 4 novembra 2011, quando avresti dovuto dare l’allarme, far svuotare le strade, impedire che le scuole restassero aperte e che i genitori andassero, sotto la tempesta, a prendere i figli a scuola sui bordi di quel torrente killer, che preparava la sua immane spallata di acqua, fango, pietre, da buttare in mezzo alle strade?
Dove eri, perchè non hai lanciato l’allarme prima, fatto svuotare le strade, chiudere le scuole, diffondere l’allerta, quell’allarme che ora si proclama anche quando solo piove, ma lo credo, ci sono quei sei morti che hanno cambiato tutto “dopo” la crocifissione della Vincenzi, dell’assessore, dei suoi uomini dello staff di emergenza?
Ci hanno messo cinque anni a rispondere a queste domande sull’allarme non dato, un processo lungo come la salita del Golgota per la signora sindaco, che ha perfino scritto un libro, aspettando il verdetto, intitolato “In attesa di giudizio”, tanto si sentiva pronta a difendersi, innocente, oggi che la prima sentenza l’ha svuotata, ma non le ha tolto la voglia di continuare a combattere: “Ricorrerò, andrò in Appello, in Cassazione”, dice ferma e con la voce che non trema, mentre la sua vita si è capovolta e le sono state tolte tutte le parole, quasi perfino il diritto a difendersi pubblicamente, a rivendicare la propria intelligenza intellettuale di ragionare su quella responsabilità, che le è piovuta addosso tutta insieme: il primo sindaco a beccarsi cinque anni di condanna per alluviome, una pena che se confermata ti porta in galera, forse, solo forse, ai servizi sociali, il primo sindaco a essere condannato a pagare di tasca sua i danni incalcolabili alle vittime.
Come si sente questa sindaco piegata, ma non rassegnata, quando vede le foto delle sue vittime, le due bimbe affogate con la madre nel portone di una casa, quella ragazza trascinata nell’acqua putrida dall’ondata su un ponte, quell’altra portata via davanti all’edicola dei giornali, quando sente l’urlo di dolore dei parenti, e i loro commenti al verdetto punitivo, le frasi come stilettate: “Sono contento, perchè è stata fatta giustizia, ma nessuno potrà mai restituirmi Serena,”, spiega con dignità il padre di una delle vittime.
“ Il momento peggiore non è stato quando mi hanno detto che dovevo pagare le vittime, so che non si fanno sconti, che le sentenze si applicano, dice la Vincenzi, il momento peggiore è quando mi hanno dichiarato colpevole……Mi portano via la casa? E’ una villetta in campagna, dove abitano tre famiglie. Ci abitiamo dal 1986, abbiamo appena finito di pagare il mutuo, c’è l’orto a cui tenevo tanto…..Il mio patrimonio non è tale da pagare quel debito. Ma ripeto, non è questo il problema. C’è una assicurazione del Comune, che io stesso avevo confermato e che copre fino a 6 milioni di euro…..”
A “Repubblica”, che l’ha intervistata, la sindaco spiega qual è il suo vero dolore: “ Non mi sento colpevole, non potevo fare diversamente, non avevo i poteri per comportarmi in un modo diverso quel giorno…Quel processo mi ha fatto tornare 500 volte sui passi di quelle giornate…..Quello che resta è: dove si ferma la responsabilità di un sindaco, come si definisce? Se il sindaco è responsabile di tutto, dove finiamo? Oggi in Italia ci sono ottanta sindaci sotto processo per situazioni come la mia. Come finiranno”
Marta Vincenzi va via piegata da queste sferzate, cerca di vedere una luce in questo tunnel nel quale è entrata quel giorno maledetto che il cielo si è oscurato: “ Il mestiere di sindaco è il più bello che ci sia, se ami la tua città, puoi farlo anche gratis_ racconta con quella sua voce sottile_ poi io ho la mia pensione dopo una vita di lavoro, me ne porteranno via un pezzo, pazienza. Sono nata povera, oggi sono più di quello che ero, ma non è questo il problema. Chiediamocelo ancora: quando si viene definiti autorità di Protezione Civile cosa vuol dire? Che si risponde di tutto e per sempre?”
E allora si torna indietro a quel giorno della bomba d’acqua e ci si chiede perchè la buona stella non ti ha protetto. Durante il tuo mandato può non capitare nulla o possono arrivare una alluvione dietro l’altra, come è capitato a lei, prima donna sindaco di Genova, crivellata dalle alluvioni nel 2009, nel 2010 e nel 2011. Il sindaco è responsabile di tutto e c’è una norma che definisca quali sono i confini di questa responsabilità? Si lascia tutto in mano alla magistratura? E’ questa una strada corretta?
Un mese fa un’altra donna amministratrice a Genova, la ex assessore regionale alla Protezione Civile, Raffaella Paita, anche lei Pd, è stata assolta in un processo analogo per l’alluvione dell’ottobre 2014, quando il Bisagno straripato si era portato via un infermiere in pensione, annegandolo. Era accusata di non avere dato l’allerta e quindi di non aver fatto chiudere le strade dove quello sciagurato era andato a morire. Lei assolta per non avere commesso il fatto. La Vincenzi condannata a cinque anni.
Tra le due donne-amministratrici imputate “per alluvione”, seppure in situazioni molto diverse, non solo per il numero delle vittime, era scattata una certa solidarietà, non solo di genere, ma anche di imputazione. Ma il loro destino giudiziario è nettamente divaricato: una assoluzione piena, una condanna più risarcimento.
Ora il sindaco attuale di Genova, Marco Doria, successore proprio della Vincenzi ed anche suo concorrente nelle Primarie del 2012 del centro sinistra, sta facendo pressione sulle Assicurazioni perchè siano loro a pagare il risarcimento alle vittime. Ma la partita è aperta: i Lloyds di Londra, i riassicuratori cui la società “Sirco”, che firmò, la polizza fa riferimento, si rifiutano di pagare il 75 per cento del danno ed è incominciata una delicata trattativa.
“Cosa farà quando l’ufficiale giudiziario verrà a notificartle i pignoramenti?”, hanno chiesto alla Vincenzi. “ Gli offrirò il caffè”, ha risposto con uno scatto di orgoglio la ex sindaco.
Il processo e questa lunga vicenda che dura per lei è come un inferno. Ha cambiato vita completamente. Da protagonista della vita politica, non solo come sindaco, ma anche come uno dei pochi soggetti pensanti della città, è diventata solo una imputata, appunto in attesa di giudizio, come dal titolo del libro che un po’ tanto coraggiosamente ha scritto, non certo ingraziandosi la benevolenza dei magistrati che la stavano processando. Si è iscritta all’Università per studiare comunicazione e capire, probabilmente, come scattano quei meccanismi che ti trasformano da protagonista, da soggetto della politica a bersaglio permanente.
Intanto nella città delle alluvioni, alla fine di un novembre che ha colpito climaticamente solo il Ponente della Regione, una talpa sta scavando nella pancia di quei quarieri popolari e super alluvionabili uno scolmatore per deviare il corso maledetto di quel Fereggiano in un tunnel sotterraneo che scarichi in mare le ondate assassine. Quell’opera, progettata oltre venti anni fa, e poi bloccata per timore di Tangentopoli, è ripartita proprio dopo la tragedia costata alla Vincenzi la condanna e alla città stessa morte e distruzione.
Il premier Matteo Renzi, alla vigilia della debacle referendaria era venuto a Genova a firmare un patto nel quale c’erano altri finanziamenti (30 milioni) per mettere in sicurezza il territorio dai rischi idsrogeologici. Insomma, l’allarme alluvione è suonato forte in questa città che nel Dopoguerra ha avuto più di cento morti per alluvione, mentre il suo territorio veniva impunemente saccheggiato urbanisticamente, i rii tombati dal cemento, le colline sforacchiate, le campagne abbandonate al degrado, i greti riempiti di costruzioni abusive e di ostacoli e il loro corso violentato. Ma alla fine di questo scempio e di queste tragedie, puntuali quasi come le stagioni metereologiche, la campana è suonata solo per Marta Vincenzi e il suo staff.