Quel prete che ha scritto quel libro, oggi subito ripubblicato perché i temi urgenti del Sinodo che la Chiesa sta celebrando in questo anno lo hanno richiesto, si chiama Giovanni Cereti, genovese, figlio di un grande Rettore dell’Università di questa città Carlo, dottore in legge anche lui, ma poi consacrato sacerdote in quella chiesa dove dominava il cardinale Giuseppe Siri, con cui collaborò e dal quale aveva non poche distanze in materia di teologia.
Da quella chiesa genovese molto ortodossa e conservatrice, ma fortissima, Cereti se ne andò non senza che quella partenza, che Blitzquotidiano ha già raccontato, fosse riassunta un po’ esageratamente come uno strappo, mentre era la scelta di un prete che studiava molto, ma che voleva anche conoscere il mondo del suo ministero. E infatti, erano gli anni Sessanta-Settanta, dopo essere stato anche nell Ufficio stampa di Siri, il giovane Cereti se ne andò in Africa, in missione.
Aveva in testa la sua idea e nella valigia i testi per interpretare meglio il “verbo”, la parola di Dio e della Chiesa nella materia delicata che tanto lo aveva colpito nei primi anni del suo sacerdozio da giovane curato in una chiesa della periferia genovese, e prima ancora in una missione nel profondo entroterra genovese, in una di quelle valli che il sole lo vedi poco e la chiesa è una sola e magari è nel cuore di un pugno di case abbarbicate su quelle colline che respirano un po’ l’aria del mare che viene da giù e quella dei monti freddi, che viene da su.
Di quella missione mi è rimasto sopratutto un episodio – scrive e racconta don Cereti, quasi sessanta anni dopo – la visita ad una coppia piuttosto anziana, composta da quelli che ci erano stati segnalati come pubblici peccatori della parrocchia, gli unici. Vivevano assieme da qualche decennio, ma la loro posizione non poteva essere regolarizzata……
Ricordo l’aria da cane bastonato di quella donna, al vedersi arrivare il missionario, ricordo lo stupore dell’uomo o il suo atteggiamento di benevolo compatimento ed accondiscendenza, allorché gli chiedevo, secondo i buoni insegnamenti ricevuti, se era disposto a vivere con quella donna “come fratello e sorella”, visto che alla loro età e malandati com’erano, non potevo certo chiedere loro di separarsi.
Cereti tornò felice da quella missione: era convinto di avere ottenuto qualcosa di importante, ma il parroco di quella chiesa sperduta lo gelò. “Il parroco rifiutò ugualmente che venisse data loro la comunione, se volevano andassero in un’altro paese, ma lì tutti sapevano che quei due «non erano in regola»…..”
Il giorno stesso di quella missione con delusione il giovane don Cereti, fece il suo ingresso in quella chiesa della periferia genovese, dove sarebbe rimasto sei anni. E cosa lo colpì di quel servizio nel quale tu diventi uno della famiglia, le gioie, i dolori di un numero incredibile di persone fanno irruzione nella tua vita, nel tuo cuore e restano installate per sempre?
Una famiglia di origine nordica – racconta Cereti – tanti ragazzoni, il più giovane avrà avuto venti anni. Vivevano appartati, ma circondati dalla stima di tutti. Solo pochi trattenevano il loro segreto dopo tanti anni…..esclusi dalla vita di comunità per una situazione irregolare, che non si poteva assolutamente sanare.
