Rientrato a casa dopo gli alterni anni romani, nei quali aveva toccato il suo apogeo a metà dei Novanta, diventando ministro dei Trasporti nel governo Prodi-Ciampi, e segnalandosi con l’operazione (digraziata) di Malpensa e con un’altra molto fortunata (il doppio registro navale), un po’ sbiffato dal suo talent scout D’Alema e uscito dal governo nel 1997, con la caduta di Prodi, l’ex ingegnere, sogna ora forse un secondo clamoroso accosto romano, o che altro ha in testa, se annuncia il suo addio alla Regione con una autorottamazione locale che lascia aperti molti dubbi.
Questa improvvisa estroversità di un leader politico, che tra i primi aveva capito la progressiva difficoltà del suo Pd e se ne era operativamente allontanato, occupandosi di battere il territorio palmo a palmo con tutte le insegne addosso del “Governatore” e non più dell’ex giovane leone postcomunista, il più giovane segretario di sezione Pci mai eletto, uno dei più giovani segretari di Federazione della monumentale storia comunista genovese, sindaco quasi imberbe per pochi mesi prima del clamoroso arresto del 1992, cancellato da un proscioglimento in istruttoria in una delle piccole tangentopoli genovesi, Burlando stava al suo partito come Francesco Giuseppe o il generale austriaco Radetzky alla Carboneria.
Negli ultimi anni contatti minimi e una certa schizzinosità, provocata anche dalla preesenza come sindaco genovese di Marta Vincenzi, che fu, a suo tempo creatura di Burlando, ma che era diventata la sua nemica numero uno, una specie di concorrente interna rispetto alla quale c’erano più motivi di scontri che sintonie, pur governando i due nella stessa città gli enti più importanti, sotto le stesse bandiere.
L’ex ingegnere se ne stava alla larga dalla sua città, dove era nato nel rione sulle rosicchiate colline genovesi di Pedegoli, a monte del tragico rio Fereggiano, quello che undici mesi fa ha seminato morte e distruzione nel cuore della città con l’ultima alluvione, provocando la fine della sua concorrente Marta Vincenzi, SuperMarta così come Claudio era stato “nominato” SuperClaudio da giornalisti un po’ tanto ruffiani, prima della sua caduta dal trono nel 1992.
Da allora, in qualche modo Burlando si è liberato, incominciando a tessere una trama genovese diversa da quella gettata sull’intero territorio ligure con le stigmate del presidente ecumenico che a Ponente va a fare accordi con Scajola e a Levante mette in cappello sulla eccezionale operazione delle Cinque Terre, diventato il must turistico numero uno nel Nord Italia, fino al momento che il presidente del Parco, Franco Bonamini cade nella ennesimo scandalo giudiziario.
Burlando sguscia via da ogni vicinanza scomoda. Ma che colpa ha lui, riuscito nel 2007 ha venir fuori dall episodio grottesco del “contro mano “, imboccato in uno svincolo autostradale, preso a rovescio in una domenica invernale che poteva segnificare un grave incidente di immagine e che invece diventò una utile eclissi per il presidente, poi autorigeneratosi nel prosieguo della legislatura?