
Ravano contro Costa, due dinastie di armatori a confronto. Mezzo secolo dopo ecco una contesa di carta, a colpi di libri e di giornali, mentre prima, quando la grandezza di Genova sul mare era ancora evidente, si affrontavano con la stazza delle loro navi, con la capacità di conquistare nuove rotte di merci e passeggeri e con il peso dei carati di nave, l’unità di misura finanziaria per calcolare gloria e potenza di un armatore.
Il siluro che scatena questa guerra postuma parte da Montecarlo, rifugio fiscale e di vita di Carlo Ravano, 81 anni, uno dei nove figli di Alberto, il mitico capostipite di una dinastia armatoriale oggi straestinta. Attenzione, è un siluro di carta, sotto forma di un libro, intitolato “97 traversate”, editore De Ferrari, che il Ravano ha scritto per non disperdere la memoria di una famiglia che furoreggiò a Genova negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta e che tra rovesci, sfortune, ritiri e un declino inarrestabile è praticamente scomparsa nella sua forza di gruppo armatoriale da un tempo oramai molto lungo.
Da Montecarlo a Genova vola un guanto di sfida che non ha nulla a che vedere con le rivalità marittime-imprenditoriali, ma riguarda “lo stile”, l’eleganza dei desaparecidos Ravano, confrontato con quello dell’altra grande famiglia genovese, la più grande nella storia imprenditoriale del Novecento, i Costa, quelli dell’olio e soprattutto delle navi da crociera che dal 1997 non sono più armatori, pur resistendo la loro leggendaria sigla “C” sui fumaioli della Costa Carnival, oggi di proprietà yankee e in mano al tycoon Mikey Harrison, insomma quelli della sciagurata Costa Concordia.
Nel bel mondo genovese, che fu e che non c’è più, un attacco simile, con il quale Carlo Ravano scrive che le signore della sua famiglia erano molto più eleganti e “di classe” delle signore Costa, “sciatte”, modeste, e che la Ravano family aveva abitudini mondane talmente altolocate che i Costa neppure si sognavano, è un’arma impropria nel mondo genovese di ieri, ma anche di oggi e di domani.
Chi mai si era permesso di infrangere lo storico understatment zeneise, quello coperto nei salotti chiusi di case straricche, ma segrete, di circoli esclusivi come lo storico Yacht Club Italiano o il Casino dei Nobili o il Tennis Club o lo Union Club, dove addirittura le signore non erano ammesse. Luoghi dove ancora oggi è bandito il telefonino e obbligatoria la cravatta, almeno a tavola.
Il Secolo XIX di Genova ha pubblicato stimolanti stralci del libro: Noi Ravano, ha scritto Carlo,
“siamo cosmopoliti e abbiamo sempre parlato almeno tre lingue. I Costa, invece, nemmeno una. Le nostre signore sono sempre state eleganti e bellissime. Quelle dei Costa, diciamo la verità, dimesse. Direi addirittura tendenti allo sciatto”.
La mano che ha scelto i passi del libro è quella di Anna Orlando, illustre in città a suo buon diritto ma apparteennte al clan rivale dei Costa, la quale nota che in “97 traversate”, quante sono state le volte che è andato e tornato attraverso l’Atlantico, Carlo Ravano rivendica una doppia illustre discendenza, quella dei Ravano, certo, ma anche quella degli Accame:
“Anche mia madre [Maria Luisa] proviene da una illustre famiglia di armatori genovesi, gli Accame: nomi che oggi la città fatica addirittura a ricordare”.
Sic transit… Nota la Orlando che Carlo Ravano
“parla poco del padre Alberto, armatore che nella sua lunga carriera è arrivato a possedere oltre ottanta navi. «Non mi sento degno di scriverne…e soprattutto ciò che racconto è vissuto in prima persona: nulla di sentito dire, né pettegolezzi. È semplicemente la vita che ho trascorso intensamente, per più di mezzo secolo accanto a mia moglie Antonietta Dal Pozzo».
“In compenso è generosissimo nel ritrarre una Genova benestante, se non ricca, che ha dominato, soprattutto sino agli anni Settanta, dai moli ai mari. E lo snobismo verso la famiglia rivale si spiega anche con una diversa visione del mondo armatoriale che divise proprio Alberto Ravano e Angelo Costa. Eleganza e bon ton, grandi affari e jet set ma anche una crisi irreversibile del settore marittimo che Carlo Ravano osserva con un certo distacco”.
Ma una goccia di veleno tocca anche ad Angelo Costa. Nota Anna Orlando:
“Non capita tutti i giorni sentir parlar male del primo presidente di Confindustria nel dopoguerra, intoccabile per la maggior parte dei genovesi”
che cita Ravano:
“Certo, ma con lui iniziarono gli scontri fra diverse correnti di armatori in Italia. Noi eravano schierati con Piaggio, Cameli e Parodi. Ma vinse la corrente capeggiata da Costa e nel 1958-59 la corrente Ravano decise per una vera e proprio secessione uscendo dalla vecchia Confitarma romana e fondand la nuova associazione San Giorgio“.
Genova è stata per Ravano una
“città matrigna. Provo per lei amore e odio”.
Forse, all’origine, c’è un paio di scarpe:
«Come potevo risultare simpatico ai compagni della II liceo all’Arecco quando, nel ’49, sono tornato da New York indossando scintillanti Florsheim comprate sulla Fifth Avenue?».
Rievoca Anna Orlando con l’aiuto di Ravano:
“È il 1973. Vicino a casa, l’armatore è fermato da due «individui loschi che si qualificano come agenti della Tributaria». Con tono soddisfatto gli dicono: «Abbiamo beccato la primula rossa». Lavorare a Montecarlo dal 1956, lasciando la famiglia a Genova, per il fisco non è accettabile. Dopo pochi mesi Carlo, la moglie e i quattro figli salgono sulla giardinetta Buick verde scuro e partono verso Monte Carlo. «È l’unica decisione che papà ha preso senza consultarci. Per questo, anche se eravamo bambini, abbiamo capito la gravità della cosa» racconta Claudia, la più piccola, che sta finendo le elementari «un vero shock. Ci disse di salutare i compagni di scuola perché non li avremo rivisti».
La residenza fiscale a Montecarlo aiutava certo il tenore di vita, compreso uno yacht da 80 metri, il Trenora, dove furono ospiti Cary Grant, David Niven, Roberto Rossellini:
“Tutti invitati al compleanno di Rita Hayworth, il 17 ottobre. Come dimenticare la sua bellezza in quel tailleur verde smeraldo?». E Grace Kelly? «Non era semplicemente bella. Era anche bella…”.
Spiega Anna Orlandi:
“Dai Principi di Monaco i Ravano sono sempre stati di casa: «Mio padre era molto amico di Ranieri. E il principe Alberto apriva sempre le danze con mia moglie Antonietta»”.
Il libro ha momenti di brutale candore, come quando Carlo Ravano rivela di essere stato violentato quando era adolescente, o ricorda la serata con una prostituta, in America:
«Quando la vidi nuda, con tutti i peli rasati, mi fece impressione. Pagai e me ne andai».
Così il ricordo dell’incontro con Licio Gelli nel 1977, in una suite dell’hotel Excelsior di Roma. Gelli gli chiede di versare cinque miliardi di lire su un conto svizzero per aggiustare lo scandalo Comitas, società assicurativa dei Ravano che portò «a infangare il nome della nostra famiglia».
Torniamo al confronto “estetico” tra lo stile di Angelo Costa, il capostipite postbellico dei Costa, il primo presidente di Confindustria dopo la guerra, l’interlocutore di Di Vittorio che attirava le platee, anche quelle tv dei primordi, con la sua cantilena genovese, il suo liberismo pratico e frontale e quello di Alberto Ravano? Il leader di questa famiglia aveva tutt’ altro approccio mondano e negli affari rispetto ai Costa.
Mostrava una passione sfrenata per le automobili e poteva permettersi ciò che voleva: leggendario quell’aneddoto che narra del commendator Alberto incantato davanti alla vetrina delle Rolls Royce, dove sfolgorava l’ultimo modello di una berlina color amaranto. Incantato al punto di ordinarla sui due piedi, anche di fronte alle obiezioni del segretario che lo accompagnava e gli ricordava: “Presidente, ma se la settimana scorsa ce ne siamo comprata una uguale di color verdone?”
Angelo Costa, invece, altro che Rolls Roys, niente lusso e niente parco macchine da sogno, al massimo una bella berlina Fiat anche di grossa cilindrata, ma di colore o blu o bianco, come quella 124 tanto banale anche per quei tempi…….C’era un abisso tra questi due stili che si contrapponevano nel silenzio pieno di ammiccamenti di quell’undeerstatment genovese.
I Ravano abitavano in ville stupende nel quartiere residenziale di Albaro, tra parchi rigogliosi, dove magari c’era anche un campo di calcio in erba, sogno di tutti i ragazzini bene della Genova del boom anni Sessanta (Alberto era o no anche il presidente della Sampdoria, giunta al quarto posto del campionato di Serie A), avevano barche eleganti e sempre alla fonda o in porto nei luoghi più alla page tra Portofino, la Costa Azzurra e la Costa Smeralda, ancora da scoprire e viaggiavano il mondo non solo per affari.
I Costa sceglievano appartamenti riservati, anche al terzo e quarto piano dei palazzoni borghesi di Circonvallazione a Monte, belle case, ma senza “sciato” come si dice a Genova, senza rumore per l’eleganza degli arredamenti e i ricevimenti che si tenevano, sempre di famiglia, anche nella elegante palazzina sulle pendici di Castelletto al cui ingresso fu rapito Brigate rosse, il 12 gennaio 1977, uno di loro, Pietro Costa. Vestivano sobriamente, anche in modo un po’ trasandato.
Anche i Ravano avevano casa in Castelletto, ma all’ultimo piano di un palazzo dalle cui finestre si dominava la città come dal ponte di comando di una nave.
Avevano le loro ville in Riviera, una vicina all’altra, come in un villaggio plurifamigliare, ma nel momento di difficoltà del Gruppo, all’inizio degli anni Ottanta, le avrebbero vendute tutte per evitare giuai maggiori. I colpi di vita in vacanza erano le case di Cogne, in Val d’aosta, una specie di dependance montana e molto sobria di tutta la famiglia.
Gli uffici Ravano erano eleganti palazzine, con personale molto in tiro, i Costa avevano un superufficio nell’unico grattacielo genovese, quello disegnato da Piacentini e si incontravano tutti in una grande sala che si chiamava sala Posta, una sorta di ufficio collettivo.
E poi i Costa erano uno stuolo, decine di famiglie strettamente legate con gli stessi nomi, con le femmine escluse dalla successione aziendale e rigidi meccanismi di partecipazione alla società in nome collettivo che li legava. I Ravano erano numericamente molto meno numerosi, più liberi, flessibili con società nelle quali il dominio non era solo famigliare.
Il siluro di carta, sotto forma di libro, che Carlo Ravano ha lanciato alla flotta concorrente di quaranta anni fa, forse senza neppure volerlo troppo, è arrivato a pochi mesi dalla pubblicazione di un libro, “ I Costa, storia di una famiglia e di una impresa“, con il quale i Costa avevano anche un po’ inopinatamente ricostruito la loro complessa vicenda di famiglia e di affari. Un bel libro scritto da Erika Della Casa, giornalista genovese, in stretto contatto con un pool di familiari tra i più rappresentativi, edito da Marsilio e presentato molte volte tra Genova, Roma, Milano come il paradigma di un sano capitalismo famigliare, alla fine arresosi ai tempi e alla oggettiva inadeguatezza di una formula economica oramai tramontata.
Così il libro Ravano è apparso in qualche modo come una risposta letteraria, anche se molto in superficie, del libro Costa, per la cui presentazione si erano esibiti personaggi come Marco Vitale, economista che dei Costa fu consulente e amico, Alessandro Pansa, direttore generale di Finmeccanica e Sergio Carbone, avvocato marittimista, molto vicino e rispettato dalle grandi famiglie genovesi del capitale privato ed anche di quello pubblico.
E poi l’attualità dei Ravano e quella dei Costa, famiglie-simbolo di un mondo armatoriale scomparso e i cui ultimi rami genovesi stanno cadendo nel turbine della grande crisi, è molto diversa e non certo rapportabile a una differenza di stile nel match “eravamo più eleganti e raffinati noi di voi”.
I Costa esistono ancora come gruppo di famiglia, almeno attraverso la Costa Edutainement, una azienda importante che gestisce l’ Acquario di Genova (quarta attrazione Italiana per biglietti venduti), il Bioparco di Roma, gli acquari di Trieste, Livorno e Cattolica e altri business importanti nella gestione di grandi musei, come gli Uffizi di Firenze.
I Ravano, intesi in senso aziendale-familiare, non ci sono più dalla metà degli anni Settanta, quando il ciclone delle “manette agli evasori” travolse uno dei figli di Alberto, Francis, che fu sbattuto ammanettato in Tribunale per evasione fiscale con una clamorosa forzatura mediatica.
Quello scandalo, poi ridimensionato giudiziariamente, fu lo spartiacque di una presenza genovese che si ridusse e, in parte, corse al riparo fiscale di Montecarlo e della Svizzera e si sminuzzò in imprese economiche di altro stampo, sempre nel settore del brokeraggio marittimo e assicurativo, dove alcuni eredi del grande Alberto mietono ancora buoni successo, ma dove la firma Ravano non esiste più.
Se i Ravano non ci sono collettivamente più nella attuale storia genovese, l’erede Costa per definizione, Beppe, amministratore delegato di Costa Edutainement, nonche presidente dei terminalisti portuali, vice presidente della Fondazione della Cultura e contendente in Confindustria del presidente neo eletto Zampini, eiste eccome ed ha un ruolo pubblico forte, tutto speso ancora sul cognome.
Tra le due famiglia non esiste contrapposizione, come in realtà non si contrappongono altri armatori, essendosi il relativo parco ridotto ai minimi termini, esclusa la potente famiglia dei Messina. Di armatori a Genova non ce ne sono quasi più e quelli che resistono navigano in acque tempestose che i siluri di carte sono bazzeccole.
Per questo motivo la disfida sullo stile e l’eleganza, nella quale i Ravano rivendicano un primato, ha sollevato solo ironici sorrisi e un botta e risposta che ha avuto il merito di tornare un po’ ai tempi belli di una città che aveva famiglie, flotte, armatori e perfino la voglia di esibirsi un po’. Carlo Ravano racconta delle sue crociere sulla Queen Elizabeth quando al suo tavolo comparivano supersar come Greta Garbo e paragona le toilettes delle signore con i sobri paramenti dei Costa.
E “Il Secolo XIX” si accorge di quella sfida e la fa rimbalzare in prima pagina, per di più con la firma di Anna Orlando, una brillante storica dell’arte, diventata un po’ il prezzemolto tra mondanità, giornalismo e cultura genovese. Ma la Orlando, guarda caso, è anche la figlia di Nicolina Costa, a sua volta figlia di Angelo, il capostipite.
Chi replica sul “Secolo XIX” alla bordata dei Ravano, proprio Nicolina, madre di Anna Orlando, che ha buon gioco a replicare:
“Ma noi, donne Costa, eravamo molto eleganti dentro”.
In fondo Federico Costa il padre fondatore non aveva scritto nel suo storico testamento di fine Ottocento: “ Cari figli voi avete il dovere di conservare pura la vostra anima ma anche integro il vostro patrimonio. Fuggite il lusso, perchè mettersi nel lusso equivale a diventare poveri.”
E così la polemica si chiude dopo qualche amarcord, qualche paragone ex post sullo stile, sui colori grigi e sui bordeaux, sui beiges di certi pullover, sui centri tavola e sugli accosatementi dei blazer perfetti dei Ravano e un po’ stazzonati dei Costa. E tutto rientra nella linea di galleggiamento dell’understatment genovese.
Siamo o non siamo a Genova, dove oggi governa per il centro sinistra, più sinistra che centro, il sindaco-marchese Marco Doria, una famiglia che, comunque, i Costa e i Ravano li guardava un po’ dall’alto verso il basso, anche se nella sua eredità, oltre alle insegne dei Doge e dei comandanti delle flotte vittoriose, c’è anche una bandiera con la falce e il martello di suo padre Giorgio Doria, di appena una quindicina di anni più giovane di Angelo Costa e di Alberto Ravano.