Nel gelo della fabbrica i sindacalisti fanno calcoli quasi infinitesimali per permettere al ciclo di non fermarsi mai, anche se Taranto è ferma, anche se la nave con i rotoli di coils non arriva, anche se il governo cade, anche se la siderurgia italiana, che è rinata qua esattamente sessanta anni fa, anno del Signore 1952, potrebbe essere sul punto di esalare l’ultimo respiro, anche se Cornigliano sembra un fortino abbandonato.
Facendo la somma dei contratti di solidarietà , delle ferie da smaltire, dei tagli che si possono fare con gli organici nella giungla della legislazione del lavoro, Genova può resistere fino al 7 gennaio senza fermarsi del tutto, aspettando Babbo Natale, Gesù Bambino e la Befana, oltre quella maledetta nave da Taranto.
L’Ilva fa sapere che fino alla sera del 24 dicembre ci sono da lavorare i rotoli neri, quelli più vecchi e quasi inutili, ma che permetteranno alla fabbrica di non arrestarsi, alle macchine di restare accese.
LÃ dove, in quel 1952 della fondazione dell’acciaieria brulicavano quasi quattordicimila operai e dove, nell’inizio degli anni Ottanta, ce ne erano ancora quasi settemila in attesa delle leggi sulla siderurgia che avrebbero smagrito l’Italsider e garantito la classe operaia di ammortizzatori sociali elastici come molle per attutire il primo cataclisma dell’acciaio, oggi sibila un Natale di gelo e attesa quasi disperata, ma ferma.
A fianco della Villa Bombrini, dove ci sono gli uffici Ilva, in un grande magazzino riallestito ci sono gli studi cinematografici di Genova Commission con le cineprese, le telecamere, le sale regia: uno spazio già riciclato della ex grande fabbrica ai suoi confini più occidentali verso il centro della città , verso la foce del torrente Valpolcevera, quello che si intasava per i residui della lavorazione dell’acciaio, dei quali il terreno trasudava.
Chissà cosa potrebbero filmare i registi di Film Commission se uscissero a puntare i loro obiettivi sugli spazi perduti del Mostro che sparava fuoco e fiamme e acciaio liquido? Filmerebbero il silenzio e il vuoto che riempie piazzali pieni di container abbandonati uno sopra l’altro, trasportati qua dalle banchine del porto: scatoloni di ferro al posto delle colate di acciaio. Filmerebbero le praterie deserte fino alla banchina, alla quale dovrebbe attraccare la nave dei sospiri di acciaio.
Nell’epoca d’oro di Genova, dell’acciaio e del Mostro di fuoco, quando il mercato dell’acciaio tirava come un treno e l’altoforno sputafuoco incendiava la notte e il giorno di Cornigliano, a quella banchina deserta c’era la fila di navi e le tonnellate di materiale da lavorare aiutavano tutto il grande porto di Genova a battere i record di traffico. Si faceva la sottrazione per capire a che punto era veramente lo sbarco delle merci: se non levavi dalla somma le navi e le tonnellate dirette all’ Italsider, avresti pensato che quello era il porto più importante dl Mediterraneo intero e che, anzi, poteva fare concorrenza ai grandi scali del Nord Europa, Rotterdam, Anversa, Amburgo.
Capito quale era la potenza dell’acciaio e il peso della città , che allora poteva chiamarsi ancora veramente Superba: il grande porto pubblico, il grande stabilimento dell’acciaio intestato alle Partecipazioni Statali dell’Iri. Dieci dodicimila braccia a caricare e scaricare le navi tra camalli della Culmv e Cap, il Consorzio del porto e i settemila dell’Italsider. Oggi il porto è privato e l’acciaio anche e gli spazi si confondono ma non si calpestano, anzi si aprono le voragini nelle quali anche la Generazione Nutella potrebbe perdersi, se decidesse di marciare dentro alle mura sbriciolate del Superstabilimento. Che si fa oggi, anno 2012 quasi 2013? Si aspetta la Befana di una nave da Taranto. Per ora.
