Tre volte nella polvere, tre volte sull’altar……Scajola Claudio, da Imperia batte, almeno in questo, Buonaparte Napoleone da Ajaccio, che le rispettive patrie non sono neppure tanto distanti geograficamente, e se il grande generale-imperatore francese si era sollevato dalla polvere delle sconfitte militari e diplomatiche per tre volte, l’ex ministro berlusconiano e ligure ci è riuscito per la quarta volta, dopo tre stangate giudiziarie e una politica, dopo tre dimissioni dal ruolo istituzionale di sindaco e ministro, record italiano e forse mondiale.
Così alla vigilia immediata della campagna elettorale, il leader “azzurro”, già ministro dell’Interno, dello Sviluppo Economico, dell’Attuazione del Programma nei governi Berlusconi II e III e IV, rientra ufficialmente in campo.
Sarà sicuramente candidato, probabilmente alla Camera nella sua Liguria, nella quale sembrava da quasi due anni accerchiato, quasi esiliato in casa propria, sulla ridente collina di Diano Calderina, luogo della sua magione, sul tetto della città imperiese, a Oneglia per la precisione.
Come in una bomba a orologeria, ma a rovescio nel senso che si disinnesca e non esplode al momento giusto, l’ultima (o non sarà, invece, la penultima o la terzultima?) inchiesta che lo inchiodava, quella sullo scandalo maxi del porto di Imperia, è caduta con una archiviazione che la Procura sancisce.
Seppellendo l’accusa che lo coinvolgeva per la mancata gara di appalto di assegnazione dei lavori del grande porto nautico di Imperia, affidato alla società di Francesco Caltagirone Bellvista e a imprenditori locali tra i quali Beatrice Cozzi Parodi, giovane e avvenente compagna del settantenne imprenditore romano, arrestato, detenuto per mesi mentre lo scandalo eruttava come un vulcano scatenato nell’Oceano Indiano.
Claudio Scajola, che si era dimesso dal governo nel maggio del 2010 sull’ondata della inchiesta contro la cricca di Anemone, Balducci e compagnia cantante per la storia di quella casa di via Fagutale, a Roma, con vista Colosseo, comprata “ a sua insaputa” con il sovrapprezzo di 900 mila euro a lui ignoto e versato dai boss della “cricca”, esce dalle macerie fumanti di questa vicenda del porto imperiese che si era scatenata un anno dopo e incassa la seconda archiviazione, dopo quella di tre mesi fa sull’inchiesta della Procura di Perugia che, appunto, indagava su quell’operazione clamoroso con vista Colosseo.
Si diradano i fumi di Perugia e quelli molto diversi di Imperia e sul capo del leader azzurro, pronto a tornare in campo, restano solo le indagini di un’inchiesta per operazioni di Finmeccanica e il fronte romano della inchiesta per la casa del Fagutale, nella cui vicenda i magistrati capitolini avrebbero visto un’ipotesi di finanziamento illecito dei partiti.
Quisquilie, pinzillacchere, per usare il gergo universale di Totò, rispetto alla montagna di accuse che si erano accumulate sul sessantacinquenne ex sindaco, ex ministro di Imperia, sospettato non solo di avere agevolato la colossale operazione di Imperia- porto a vantaggio di amici, spingendo la costruzione di un sistema di concessioni fatto a posta per deviare dalle procedure amministrative e anche rispetto alla casa del Colosseo, che non aveva scatenato sulla sua testa fatti di rilevanza penale, ma gli aveva affibbiato un marchio, quello della frase tombale “ a sua insaputa” molto più incancellabile, all’occhio di una opinione pubblica ultrasensibilizzata sui privilegi dei politici, di una vera condanna.
“Gli hanno pagato 900 mila euro e lui manco lo sapeva: qual è la contropartita che ha concesso il ministro a quella cricca?”, era la scontata domanda.
Scajola confidò proprio a Blitzquotidiano, in una lunga intervista, di essersi scervellato un’estate intera, trascorsa nel suo eremo imperiese, a smaltire lo scandalo, per ricostruire quale poteva essere stata quella contropartita, facendo capire, che se mai, anche quella era un’operazione a sua insaputa, un appalto concesso come ministro alla cricca, magari quando era tra il 2001 e il 2002 il potente ministro dell’Interno.
Non trovò nulla e mentre i giudici di Perugia, che avevano indagato su via del Fagutale, lo tiravano fuori dai sospetti di reato, esplodeva a Imperia con tutta la sua virulenza lo scandalo del porto in costruzione, il più grande scalo nautico del Mediterraneo, una vicenda che ha letteralmente travolto l’intera provincia imperiese, facendo saltare l’amministrazione comunale, le società concessionarie dell’operazione, Caltagirone e i suoi soci, gli equilibri politici di una terra nella quale, in sovrappiù allo scandalo del porto con le sue esplosive commistioni, deflagravano i rapporti tra la politica e la malavita organizzata, infiltrata a tal punto nel potere locale, da far commissariare dai succcessivi ministri degli Interni Maroni e Cancellieri, “per mafia”, i comuni di Bordighera, Ventimiglia e, proprio nei giorni scorsi, Vallecrosia.
In quello, che da un punto di vista territoriale era il regno dell’imperatore Scajola, in questi due anni è successo di tutto e non è finita, perché prima di Natale anche il sindaco di Sanremo, Mauro Zoccarato, un altro ex delfino del leader, si è dimesso in una tempesta politica che segue l’ecatombe delle attività più importanti della “città dei fiori” e del mitico Casinò di Sanremo. Un buco enorme nel bilancio del Casinò dei giochi, che perde il 22 per cento degli incassi rispetto al patatrac dell’anno precedente, la chiusura da parte dell’ UCFLOR del mercato dei Fiori, l’altra attività storica di Sanremo, sono gli ultimi crolli di un’economia intera franata in ogni settore, certamente sotto i colpi della crisi, ma anche sotto quelli di una gestione assolutamente inadeguata da decenni.
Centinaia di esercizi alberghieri, da quelli storici e grandiosi ereditati dalla Belle Epoque, a quelli più modesti dei tempi recenti cancellati come da uno tsunami.
Ecco perchè Claudio Scajola esce attraverso un cumulo di macerie fumanti dalle vicende che lo hanno coinvolto in questi anni, bello pulito con il suo doppiopetto blu, stile Berlusconi, spolverandosi la giacca, ma non certo evitando una battaglia politica interna contro di lui, che nel periodo della ultima crocifissione giudiziaria lo aveva non solo messo in discussione, ma lo aveva quasi ribaltato: da leader indiscusso, imperatore assoluto, re della politica “azzurra” da Imperia, fino a Genova, fino al Tigullio e con la sola Spezia esclusa, a reprobo da cacciare dal tempio.
In questi anni contro Scajola si sono scatenati anche i suoi più fedeli scudieri e guarda spalle, deputati che lui stesso aveva creato dal nulla come l’ex coordinatore della Pdl in Liguria, Michele Scandroglio, che lo aveva pugnalato in modo talmente violento che neppure Bruto con Cesare.
La violenza di queste pugnalate, che avevano creato una vera diaspora nel Pdl ligure, disintegrato come il porto di Imperia, era stata tale che Scajola nello scorso mese di dicembre, sicuro probabilmente di essere sul punto di incassare le due archiviazioni che lo avrebbero liberato dai suoi guai giudiziari, in una riunione di partito, si era levato rumorosamente i sassolini dalle scarpe, accusando i traditori di gravi misfatti, dei quali lui era perfettamente a conoscenza e che avrebbe potuto svelare, avendoli riservatamente appresi attraverso il suo ruolo precedente di ex presidente del COPASIR, il coordinamento dei Servizi Segreti Militari e di Polizia, che ricoprì tra il 2006 e il 2008, durante il governo Prodi, quando quel posto toccò a lui all’opposizione, come sarebbe poi toccato a Massimo D’Alema quando Berlusconi vinse le elezioni.
La scena madre della rivelazione che aveva colpito anche il potente senatore Luigi Grillo, nemico giurato di Scajola in Liguria, era stata tale che in un salone d’onore di un albergo genovese, dove il leader si stava sfogando, lo scontro tra i fedeli e i traditori si era dispiegato quasi fisicamente.
La spaccatura verticale nei resti del Pdl ligure, o con Scajola o contro di lui, si era aperta come una autentica voragine.
Chi ci piomba dentro? Lo stesso Scajola con i suoi ridotti fedelissimi o i traditori, che l’hanno pugnalato e aspettano la definitiva sentenza che lo esclude dal Parlamento.
Già la rentrée clamorosa di Berlusconi in campo aveva incominciato a far tremare i nemici e a rilanciare il Napoleone di Imperia. Il leader maximo non aveva mai scomunicato Scajola, neppure nei tempi peggiori della fase “a sua insaputa” ed anzi non c’era riunione importante nella quale egli non fosse convocato ad Arcore o a Palazzo Grazioli.
Poi sono incominciate ad arrivare le sentenze di archiviazione e Scajola, che stava allineato e coperto sul percorso Roma-Imperia-Diano Calderina, ha incominciato a sbarcare anche a Genova-capitale, dove i resti del Pdl stavano agitandosi come i tonni impazziti prima della mattanza.
Quando i sassolini, che in realtà erano macigni, sono volati nella sala d’onore dell’hotel genovese, tutti hanno capito che Scajola era tornato.
A Imperia le macerie fumanti del porto interrotto, del Comune commissariato, delle inchieste a raffica, delle magistrature liguri e piemontesi che indagano, della Polizia Postale che sta vivisezionando ogni atto di costruzione, concessione e gestione del porto, degli altri comuni commissariati per mafia, Bordighera, Vallecrosia, Ventimiglia, di Sanremo, al crack e con il sindaco, anche lui ex fedelissimo, dimissionario continuano a riempire un panorama terremotato, anche peggio di Bussana Vecchia, l’incantevole borgo ridotto anch’esso in macerie, ma dal terremoto vero del 1890. La villa di Diano Calderina, dove in silenzio Claudio Scajola ha aspettato la sua quarta resurrezione non ha più neppure una crepa sul muro.
Fuori dal cancello la scorta sta sempre in guardia e oggi ci sono molte più macchina blu che vanno avanti e indietro tra il casello autostradale di Imperia Ovest e la dolce collina di ulivi con vista paradisiaca sul golfo.
Chi sale con il capo cosparso di cenere. Chi arriva con doni, chi viene a battere cassa per il premio fedeltà e chi proprio non si fa più vedere e lontano da qui aspetta il fulmine dell’esclusione dal Parlamento o l’emarginazione totale.
Certo il Napoleone della Riviera dovrà, comunque, incominciare a spegnere quelle macerie fumanti, se non vuole diventare l’imperatore del regno del Nulla, nella provincia una volta pubblicizzata con lo slogan delle Duemila ore di sole all’anno. Il problema è che ora oltre al sole non c’è, appunto, nulla: un porto abbandonato, un Comune commissariato, la politica rasa al suolo, la Provincia cancellata e accorpata a quella di Savona e le barche tutte scappate nei porti francesi. Ma almeno quella è colpa non di Napoleone IV, ma della cattiva politica delle tasse del professor Mario Monti.