Risultato che fa gridare allo scandalo: le figlie dei Messina non entrano nel Circolo, non solo, ma i soci che le hanno presentate, e cioè in primis Ignazio, il nuovo leader del potente gruppo, come è la prassi, dovranno alzare le vele anche loro e dimettersi. Come potrebbero restare dove hanno “impallinato” le loro strette parenti, innocenti vittime di un perverso gioco di rivalse, silurate perchè hanno quel nome oggi in guerra come cinquecento anni fa quello dei Fieschi contro i Doria? E oggi i Messina contro i Novi, una catena di ritorsioni.
Genova assiste un po’ attonita, ma anche un po’ golosa, a questa vicenda che in realtà è più salottiera che di vero potere, ma che sottolinea l’asprezza degli scontri che stanno divorando da oltre un quinquennio il porto di Genova e soprattutto la sua più nobile classe dirigente. Altro che gli scontri tra il camallo Paride Batini, morto quasi due anni fa, dopo essere stato ingiustamente coinvolto nello stesso processo di Novi (assolto dopo morto) e l’Autorità portuale e gli stessi armatori-terminalisti, con le gru dei portuali in lunghi cortei nel centro della città e i ganci della vecchia Compagnia Culmv, sfoderati sulle barricate delle banchine, altro che le marce silenziose dei clienti del porto contro i camalli in una lotta di classe, di ideologie, di porto pubblico contro porto che voleva diventare privato e stava inabissandosi nel crak dei traffici, inizio anni Ottanta!
Qua la sfida si è svolta tra i soci in blazer blu, bottoni neri con stemma sociale, pantaloni di flanella bianca, sui tappeti rossi della sede dove si conversa a bassa voce e magari speaking english sprofondati sui divani di cuoio del club, passandosi le schede della votazione magari con un sussurro di segreta intesa: “Scegli la pallina nera!”.
Tutto nasce da quella devastante inchiesta della Procura sul porto che nel 2008 ha portato all’arresto di Giovanni Novi nell’ultimo giorno del suo mandato di presidente della Autorità portuale, dieci giorni prima che sua moglie Nucci Novi Cepellini, una grande velista e una gran donna, fosse stroncata da una malattia terribile, che divenne letale nel momento in cui i finanzieri circondavano il palazzo del porto, giù in fondo ai caruggi e la villa di famiglia sulla collina di sant’Ilario, un piccolo paradiso terrestre con vista Portofino.
Cosa aveva accelerato le indagini della Procura di Genova? Un bell’ esposto dei Messina che denunciavano il “loro” presidente di averli ricattati per ottenere un consenso a spartire i moli del porto, secondo un disegno studiato dall’Autorità dei Porto e dai suoi consiglieri, tra i quali niente meno che l’avvocato dello Stato Guido Novaresi e il superprofessore di diritto e grande avvocato Sergio Carbone. Uno sfracello: quella denuncia di fatto ammanettò Novi e mise sul banco degli imputati i più importanti armatori, dirigenti, terminalisti, funzionari del porto in una indagine che prometteva i fuochi artificiali in tutta la città, mica solo le banchine.
Nei guai finì, appunto, anche il leggendario Paride Batini, accusato di avere preso da Novi 2 milioni di euro indebitamente, per avere giustificato lavori della Compagnia con pezze d’appoggio fasulle. Uno schiaffo per uomini come i camalli e soprattutto per uno come Batini, che sarebbe morto povero, vestito del suo emblematico eskimo verde, bandiera della sua storia di comunista leninista, capace di trattare con i grandi armatori solo per far lavorare i suoi camalli.
Quando nel settembre del 2010, dopo quasi tre anni di ludibrio, la sentenza del Gup ha capovolto quasi completamente quelle accuse di concussione, turbativa d’asta, corruzione e abuso d’ufficio e Novi con gli altri tredici imputati sono usciti dal tunnel della vergogna, i Messina sono rimasti in mezzo al porto, con il cerino in mano della loro accusa-esposto.