L’idea e il conseguente progetto messo insieme con grande rapidità dai tecnici della Sina, una società finanziaria del Gruppo Autostrade, nasceva così nel bel mezzo della trasformazione postindustriale genovese dalla necessità di legare il mare di Genova, la sua chance turistico-climatica-ambientale al cuore pulsante della capitale degli affari e finanziaria.
Che sogno collegare la Superba con Milano così rapidamente, quando in Francia e Giappone nascevano i primo Tgv e che grande idea immaginare due città “simbiotiche”, l’una dove vivere e l’altra magari dove lavorare. Ma oltre al sogno c’erano anche i progetti concreti di sturare il porto e i traffici e di valorizzare la nautica da diporto, i centri direzionali, la “qualità della vita” in riva al Mediterraneo, fuori dalla nebbia della pianura.
Da quel Supertreno ai cantieri di oggi sono passati venticinque anni e dopo un inizio folgorante con tanto di progetto esecutivo di affidamento a un General Contractor, la società Cociv, della realizzazione dell’opera in concessione dalle Ferrovie dello Stato, è successo di tutto, a incominciare da Tangentopoli su cui il progetto si arenò, non perchè nacquero processi ma perchè si alzarono le pretese della politica che voleva mettere il becco nella maxioperazione, totalmente in mano all’Impero delle Ferrovie.
Da quel Supertreno, che aveva reintrodotto nel linguaggio attuale della politica e dell’economia genovese e ligure il Terzo Valico, a oggi sono passate, tanto per citare un altro film in voga nei primi anni Duemila, “Quattro matrimoni e un funerale” protagonista il mitico attore inglese Hugh Grant, “tre inaugurazioni e un funerale”, nel senso di cerimonie che celebravano l’inizio di lavori mai realmente cominciati e il funerale dell’opera stessa che tra un governo e l’altro, tra Prodi e Berlusconi non faceva un passo avanti, diventando, anzi, il ring dove la politica locale si affrontava in un duello sterile.
Nel frattempo il “treno ad alta velocità” diventava ”treno ad alta capacità”, per sottolineare la diversa funzione prevalente, quella di trasportare merce e container. Il progetto, sempre rimasto nella mani del Cociv, riconosciuto come General Contractor “ante litteram”, cioè prima delle gare europee, maturava anche i suoi costi, durante le liti nella compagine associativa che solo in questi giorni prende l’assetto definitivo con Impregilo e Gavio ( che ha comprato le quote Ligresti) in posizione dominante. Era veramente necessaria l’opera e chi l’avrebbe pagata?
Le domande si sono inseguite su e giù per l’Appennino, mentre la linea entrava, comunque, nei percorsi scelti dalla Unione Europea, corridoio 5 per l’esattezza, un pezzo della Lisbona-Rotterdam, una tratta per la quale gli svizzeri hanno già bucato con la loro efficienza non il morbido Appennino, ma la catena delle Alpi, scavando tunnel di cinquanta chilometri. E noi? E il Terzo Valico?
Ci è voluta la passione del commissario straordinario all’Opera, Vittorio Lupi, ex provveditore alle Opere pubbliche di Milano, per dipanare tutti i contenziosi tra Cociv e Rfi, aggrovigliati nei venti anni di attesa, di progetti, di cambi e di duelli politico-partitici e di lobbyes scatenate. Ci è voluta la persistenza di due o tre personaggi chiave della Genova di oggi, come il presidente della Carige, Giovanni Berneschi e il senatore, Luigi Grillo, spezzino e berlusconiano, fedele al progetto dalla prima ora, incurante anche dei processi sulla sua schiena, provocati anche dalla sua vicinanza all’ex governatore di Banca d’Italia Fazio, per impedire che quel funerale si celebrasse e che si turassero anche i “fori pilota”, già scavati dentro all’Appennino per “preparare l’opera”.