Sarà. Ma nessuno può credere che Fini abbia scatenato una tormenta di proporzioni apocalittiche per accontentarsi di ciò che poteva ottenere gratuitamente e prepararsi, come tutti immaginavano, all’agognata successione con la misura, il senso del tempo e della storia che un uomo politico dotato di qualche ragionevole ambizione dovrebbe avere, circondandosi di una classe dirigente capace, facendosi apprezzare e perfino amare dal partito che , bene o male, aveva contribuito a fondare.
Il tempo ormai è scaduto. Come uno yogurt avariato, la prospettiva politica finiana è inservibile. Se n’è reso conto anche il povero Casini il quale, comunque, rischia poco o nulla: potrà sempre dire di averci provato, ma se la vicenda non dovesse svilupparsi come ritiene, vale a dire con la defenestrazione del Cavaliere ed il varo di un “governo di responsabilità istituzionale” (che significa? Altri governi sono forse programmaticamente irresponsabili istituzionalmente?), potrà sempre dire che i suoi occasionali alleati non erano affidabili. E non avrebbe torto.
Chi non avrà un’altra chance è Fini che ha buttato al vento l’occasione della sua vita. Bastava che aspettasse dedicandosi, con intelligenza e pazienza, a costruire all’interno del Pdl quel partito nazionale, liberale, conservatore, solidarista a cui da quindici anni qualcuno gli ha detto di guardare affinché la “rivoluzione italiana” si compisse davvero dopo l’uscita di scena di Berlusconi, al quale tutto si potrà rimproverare tranne di non aver provato a modernizzare il sistema politico secondo la dialettica propria della democrazia dell’alternanza. Comunque la si pensi, il bipolarismo (che può anche non piacere, naturalmente) è nato con lui. Fini ci è salito sopra, ma, per nostra disgrazia, non l’ha saputo cavalcare.
