ROMA – La ragazza non ha un volto, non ha un nome. La si vede, in un video scioccante, sull’asfalto sporco colpita dai militari con bastoni e calci di fucili, trascinata, denudata e calpestata al petto e allo stomaco. Nessuno sa dove sia. Soprattutto se sia ancora viva. L’immagine, che ha fatto irruzione sui siti europei domenica pomeriggio, è di sabato scorso. Il pestaggio è avvenuto nei pressi di piazza Tahrir al Cairo.
Dopo i morti (non si sa quanti), i feriti (centinaia) anche questo ennesimo episodio di violenza, che nella sua brutalità cancella – se non fossero stati sufficienti quelli verificatisi negli ultimi mesi – la “primavera egiziana” e la relega nel crudele libro delle illusioni tradite, delle speranze spezzate, dei sogni infranti.
Gli epigoni di Hosni Mubarak sono peggiori di lui. Più feroci, sanguinari, stupidi come il raìs deposto non è mai stato, neppure quando reprimeva il dissenso per lo più comprandolo. I militari al potere da un lato e dall’altro la Fratellanza musulmana spalleggiata dai fanatici salafiti stanno stringendo in una morsa di terrore l’Egitto. La popolazione scende in strada per disperazione, cerca di arrivare alla mitica piazza Tahrir ormai interdetta dalle forze dell’ordine ad ospitare manifestazioni, non sa sostanzialmente che cosa fare e a chi rivolgersi. È disperata. Si sente sola, abbandonata dal restante mondo arabo che non ha tempo e modo di occuparsi di ciò che accade sulle due sponde del Nilo, tradita dall’Occidente.
In Tunisia, a Sidi Bouzid, proprio un anno fa, un giovane di diciassette anni, il fruttivendolo ambulante ed abusivo, Mohamed Bouazizi, si dava fuoco davanti al Governatorato per protestare contro le ingiustizie costrette a subire, dalla licenza commerciale negata al precario stato sociale suo e della sua famiglia alle numerose angherie che lo umiliavano. Cominciò con quel gesto disperato la cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini che in poche settimane costrinse il satrapo Ben Alì a mollare il potere e a riparare all’estero. Quella torcia umana rischiarò il cielo dei fedeli di Allah e la sua luce arrivò fino al Cairo dove soprattutto giovani e giovanissimi indussero i più anziani ad appropriarsi di quel coraggio che non avevano mai avuto a sufficienza, per reclamare libertà, democrazia, rispetto e soprattutto pane per tutti e non soltanto per gli amici, i sodali ed i servi del regime del Faraone, come veniva apostrofato Mubarak, più capo di un clan di corrotti che capo di uno Stato la cui politica negli ultimi cinquant’anni è stata peraltro cruciale nelle relazioni tra Occidente e Medio Oriente.
Le fiamme che avvolsero il giovane Mohamed Bouazizi non riscaldano più il cuore dei cairoti. C’è stata, dopo tanti morti, una ragazza senza volto e senza nome, irragionevolmente condotta chissà dove, e sempre che sia ancora viva, a seppellire per sempre le legittime ambizioni degli egiziani. Quel corpo martoriato è il simbolo oggi di una disfatta. Domani, sempre che gli islamisti non anneghino nel sangue e non coprano con la sharia le speranze del popolo, forse diventerà il simbolo della rinascita dell’Egitto.
Intanto ci chiediamo che cosa ne è della primavera araba. Dal Marocco alla Siria, senza dimenticare lo Yemen, l’islamismo estremista sembra si stia affermando platealmente o sottilmente. Nessuno è tranquillo neppure in Algeria e in Tunisia. La Libia vive giorni carichi di angoscia: le vendette sono pane quotidiano. Il regime di Bashir Al Assad massacra i dissidenti in quantità industriali, come se i carnefici avessero attrezzato una lugubre catena di montaggio. Chi sfugge alla morte, solo perché sospetto viene incarcerato e torturato. Fonti delle organizzazioni umanitarie stimano in trentamila i prigionieri di Assad, molti di loro sarebbero militari accusati di diserzione.
A questo punto ci chiediamo sempre, inevitabilmente, inutilmente: l’Occidente che cosa fa? L’Europa come mai è assente, afona, distratta?
I leader dei nostri Stati che quando vogliono sanno indossare le divise dei gendarmi della libertà, sembrano poco interessati a quanto accade tra Il Cairo e Damasco. Non hanno probabilmente ancora realizzato che le tragedie che si consumano su quell’asse non sono meno significative, anche dal punto di vista politico, di quella che si consumava qualche mese fa tra Bengasi e Tripoli. Il cuore di Nicolas Sarkozy, tanto per dire, sembra non sia abbastanza tenero di questi tempi, non dico per scatenare l’inferno “umanitario” in Medio Oriente, ma almeno per far sentire a chi calpesta e uccide e umilia esseri indifesi che c’è una ragione civile universale capace di farsi valere. E che Gheddafi non era il solo delinquente da togliere di mezzo.