A ventisette anni è troppo presto per morire. Ma quando si è vissuto come se ne fossero passati cinquanta, non si può che allargare le braccia e concludere che soprattutto gli ultimi quattro sono stati al di là di ogni gloria musicale possibile. Dal 1966 al 1970 Hendrix ha innovato radicalmente la musica del suo tempo. Forse si è ancora frastornati dai colori che produsse sui palchi di mezzo mondo per dare un giudizio compiuto di ciò che ha rappresentato.
Quell’ostinato distorsore che dava alla Fender sonorità mai ascoltate, quella voce roca, stridula, dolcissima, tenera e graffiante a seconda del brano, quella fisicità che era spettacolare in sé e quelle note tirate all’estremo, dove mai nessuno era riuscito a portarle prima di lui e dopo di lui, quel pedale che diventava incandescente, quella vita che cercava stabilità senza di fatto volerla nella realtà: tutto questo ed altro ancora restano di Jimi Hendrix, genio e tormento, rappresentazione di inquietudini plurigenerazionali, fascinoso padrone di cuori avventurosi, ribelle tra i ribelli. Perché, avvicinandosi l’età grave, non dovremmo continuare ad amarlo come si ama un classico? Me lo chiedo ascoltando Bold As Love e Gypsy Eyes e mi abbandono al sorriso ed alla commozione avvicinando con la memoria adolescenziali ed appassionati amori che un fuzz box (inquietante per palati deboli) esaltava rimandando melodie diversamente banali eppure appaganti per chi si accontentava di stupidi flirt, molto poco baudelairiani, molto poco hendrixiani.
Diremo, noi sopravvissuti, di quella tribù guidata dallo sciamano del suono quanto gli dobbiamo. Ma è presto. Altri precursori hanno aspettato secoli per essere finalmente celebrati. Hendrix viene glorificato dall’industria discografica, ma non basta. Il mito o te lo porti dentro o lo dimentichi. C’è chi non vuole scordare neppure un accordo. Il 20 settembre 1970, su “The Observer”, Tony Palmer, dando conto delle lacrime di Bob Dylan, di Eric Clapton, di Mick Jagger, scrisse: “Qualsiasi cosa Mozart e Ciajkovkij siano arrivati a significare per gli amanti della musica classica, Hendrix ha significato altrettanto, se non di più, per un’intera generazione”.
